martedì 31 maggio 2011

Whiskey in the Jar

Canzone folk irlandese, Whiskey in the Jar ha raggiunto la massima celebrita' grazie all'interpretazione che ne e' stata fatta dai Metallica nel 1998 (la band vinse anche un Grammy per il migliore pezzo hard rock nel 2000). La versione dei Metallica in realta' fu una cover, seppure rivista con toni piu' heavy, della canzone di successo dei Thin Lizzy dei primi anni '70. Fra le due versioni non esistono in pratica differenze di testo, come vedremo piu' avanti. La band "classic rock" irlandese realizzo' con Whiskey in the Jar uno dei suoi pezzi piu' famosi, paragonabile ad altri brani quali Jailbreak e The Boys Are Back in Town. Andando un decennio piu' indietro, gli amanti del folk irlandese ebbero modo di apprezzare le varie registrazioni di Whiskey in the Jar eseguite dai Dubliners, lo storico gruppo di musica tradizionale irlandese che inizio' a farsi conoscere suonando nei pub di Dublino. Ovviamente, procedendo ancora piu' lontano nel tempo, piuttosto che nelle incisioni troviamo testimonianze della canzone nella cultura musicale, orale e scritta, popolare. 
La datazione delle origini non e' precisa, genericamente pero' e' plausibile parlare del XVII secolo come periodo di riferimento. A quell'epoca infatti e' documentata la diffusione di ballate che narravano di banditi di strada ("highwaymen") che derubavano gli inglesi, funzionari, ufficiali o ricchi proprietari terrieri, e che per questo venivano visti favorevolmente dai ceti piu' umili. La citazione dello spadino ("rapier") nel testo, inoltre, confermerebbe questa ipotesi temporale. Per gioco mi sono divertito in una traduzione senza pretese del testo della versione dei Metallica che riporto qui sotto.

Mentre stavo attraversando le montagne di Cork e di Kerry,
Vidi il capitano Farrell che stava contando il suo denaro,
Prima gli mostrai la pistola e poi gli mostrai la spada,
E dissi "Fermo e sgancia o il diavolo potrebbe portarti via"

Yeah

Presi tutto il suo denaro e fu un bel bottino
Presi tutto il suo denaro, yeah, e lo portai a casa da Molly
Lei giuro' che mi avrebbe amato, no, non mi avrebbe mai lasciato
Ma il diavolo prese quella donna, yeah, non sapete quanto bene mi inganno'

Possa piovere se son forte,
A mio padre questa notte,
A mio padre questa notte,
c'e' ancora whiskey nella botte

Stanco ed ubriaco me ne andai nella camera di Molly
Portando con me il denaro mai avrei immaginato il pericolo
Dopo circa sei o forse sette ore di cammino, yeah, era piombato li' Farrell
Saltai in aria, feci esplodere le mie pistole, e lo centrai con entrambi i colpi, yeah

Possa piovere se son forte, yeah-yeah
A mio padre questa notte,
A mio padre questa notte,
c'e' ancora whiskey nella botte

Yeah, whiskey
Yo-ooh, whiskey

Yo-ooh, yeah, ooh
Yo-oo-ooh, yeah

Ora ad alcuni piace la pesca e ad altri piace la caccia
Ed a qualcun altro piace ascoltare, ascoltare il rombo dei cannoni
A me piace dormire, specialmente nella camera della mia Molly
Ma qui sono in prigione, qui sto legato ad una palla ed una catena, yeah

Possa piovere se son forte, yeah-yeah
A mio padre questa notte,
A mio padre questa notte,
c'e' ancora whiskey nella botte, yeah

Whiskey nella botte, yeah

Possa piovere se son forte
Possa piovere se son forte, hey
Possa piovere se son forte
Possa piovere se son forte
Yeah


Ovviamente il ritornello, dato il suo carattere astratto che fa leva sul suono delle parole piuttosto che sul loro significato ("Musha rain dum-a do dum-a da") e' stato liberamente interpretato e messo in rima (piu' o meno). Notare che il verbo "rain" compare solo nel testo dei Metallica, la versione dei Thin Lizzy riporta "ring" e fra l'altro se ne differenzia solo per questo. Le versioni tradizionali sono piu' varie, sia riguardo i termini geografici (comunque tutti relativi all'Irlanda meridionale) che i nomi propri delle persone. La trama e' semplice e ben delineata in ogni versione, a parte pochi dettagli: il protagonista, in viaggio, incontra il capitano Farrell (o colonnello Pepper) e lo deruba dei suoi soldi; con il bottino torna dalla propria donna Molly (o Jenny), amante o moglie non sappiamo; questa pero' lo tradisce, mandando a chiamare lo stesso capitano che, arrivando nella notte, lo sorpende nel sonno e lo fa arrestare. I Metallica ed i Thin Lizzy ci raccontano che il brigante riesce a sparare e colpire Farrell, quindi immaginiamo che subito dopo venga bloccato dalla guardie che accompagnavano quest'ultimo. Nello stesso testo, una volta in prigione, rimpiange le dolci languidezze dei momenti passati trascorsi con la sua Molly, nonostante l'inganno compiuto da lei (facendocela pensare qui piu' ad un'amante quindi che ad una moglie).
Il testo originale aggiunge qualcosa in piu'. Il protagonista non riesce a sparare perche' le canne delle sue pistole sono state riempite d'acqua da Molly. In prigione auspica l'intervento di un suo compare che possa liberarlo. Rimpiange non Molly in particolare, ma tutte le fanciulle che si dilettava a corteggiare. E oltre a queste, curiosamente per un brano che porta il whiskey nel titolo, il succo d'orzo ("juice of the barley"), vale a dire la birra. Insomma, una canzone da ascoltare per la sua ironica leggerezza e come opportunita' per avvicinarsi al folk irlandese, genere che testimonia l'allegria e la vivacita' di un intero popolo.

giovedì 26 maggio 2011

Irlandese ma italiana

Una rossa irlandese... potrebbe essere la sintetica descrizione di una tipica ragazza di Dublino o di Cork, capelli rosso acceso e magari abbondanti lentiggini. In alternativa potremmo stare a parlare di una red irish ale come ad esempio lo e' la McFarland, birra rossa prodotta in Italia ma secondo una ricetta originale della Murphy Brewery Ireland Ltd, nota casa brassicola irlandese, appartenente ora alla multinazionale Heineken. La McFarland e' una ale tradizionale, di medio tenore alcolico (5.6 ABV), dal caratteristico colore ambrato intenso, con riflessi ruggine. Come per le altre red irish ale anche per la McFarland il gusto principale e' il maltato dolce. Se deve infatti notare che l'usanza di produrre birra in Irlanda ha inizio addirittura duemila anni fa, presso le popolazioni celtiche. Successivamente, con la diffusione nell'isola del cristianesimo, e la nascita dei complessi monastici, furono i monaci a tenere viva la tradizione della birra nei secoli. L'uso del luppolo come amaricante non si realizzo' pero' prima del Settecento, quando inizio' a diffondersi anche in Irlanda (fino ad allora erbe quali la genziana erano impiegate per aromatizzare le ale). Questo spiega storicamente, quindi, la prevalenza del tono caldo del malto rispetto all'amaro del luppolo.
Genericamente parlando, il gusto di una red irish ale si puo' spingere fino al caramellato ed al "burroso", anche se l'amaro, pur secondario, e' sempre distintamente avvertibile (tanto da generare un piacevole contrasto). La McFarland, pur facendo parte della tipologia, se ne differenzia in quanto e' meno corposa ed ha un gusto piu' piatto. A livello olfattivo, come le altre, presenta chiari sentori maltati (anche mielati) e fruttati. La schiuma inoltre e' fine e compatta, accompagnata da un'effervescenza iniziale, che pero' tende a svanire presto. Un importante aspetto da sottolineare e' che l'amaro e' persistente, e che rimane in bocca una secchezza che ne facilita la bevibilita'. Non e' raro che, finita una bottiglia (da 33 cl, nella confezione da tre reperibile al supermercato), si passi rapidamente alla seconda, poiche' sembra piu' leggera di quanto sia effettivamente. L'etichetta e' inconfondibile, dentro un ovale con bordo verde e sfondo rosso, si stagliano i profili di tre levrieri bianchi affiancati. L'ovale e' diviso in due dal nome della birra, e la parte superiore contiene uno scudo con l'emblema irlandese per eccellenza, il trifoglio. Gli stessi levrieri bianchi sono riprodotti sul tappo. Per quanto riguarda le modalita' con cui gustarla, e' consigliata una temperatura di servizio fra i 9 ed i 12 °C, ed un bicchiere tipo "balloon", cioe' di forma tonda, poco aperto in cima.
Anche se andrebbe provata in cucina, ed io ancora non l'ho fatto, sembra che la McFarland sia ottima per la preparazione di alcuni piatti. Una ricetta appetitosa la abbina a carne di maiale e panna. La birra va aggiunta quando la carne e' ben rosolata da entrambi i lati, e la cottura terminata quando la salsa diventa sufficientemente densa. Per finire, volendo completare il panorama della categoria, riporto un breve elenco di altre prestigiose red ale irlandesi: la Smithwick's, fra le piu' "burrose"; la Kilkenny Irish Beer, invece piu' secca; la Beamish Red; la Murphy's Irish Red; la Molings Traditional Red Ale. Insomma, si tratta di una produzione vasta e diversificata, sebbene molti, fra le birre irlandesi, non conoscano altro che le scure stout come la Guinness.

giovedì 19 maggio 2011

Napoli

La sua immagine e' spesso oscurata da fatti poco piacevoli, tuttavia nessuno dovrebbe mai pensare a Napoli come a una citta' che non vale la pena visitare. Napoli e' una citta' piena di contrasti, difficile da decifrare, ma forse proprio questo contribuisce a creare quel fascino da cui e' impossibile non farsi catturare quando la si esplora. Prima delle bellezze architettoniche colpisce la collocazione geografica tutta particolare, che la fa apparire come una terrazza che si affaccia sul golfo antistante. Da una parte la solarita' del mare, dall'altra l'imponenza quasi angusta del Vesuvio che la domina dall'alto. E' una citta' su piu' livelli, il centro e' prevalentemente piano ma i quartieri periferici si sviluppano sulle alture circostanti. Ed inoltre e' una citta' dalle tante anime, da quella piu' popolare di Spaccanapoli, con i vicoli stretti ed panni stesi da un muro all'altro a quella piu' borghese dei quartieri eleganti come il Vomero.
Ai viaggiatori che si accingono a recarsi nella citta' partenopea consiglio l'uso del treno per arrivare alla stazione centrale. Come alloggio suggerisco la Bovio Suite, un bed and breakfast situato in un appartamento di un palazzo in piazza della Borsa, all'estremita' di corso Umberto I. Siamo proprio nel centro di Napoli, a breve distanza dalla stazione che e' situata all'altro capo del "rettifilo" (cosi' come e' comunemente chiamato corso Umberto I). La Bovio Suite, oltre ad essere una struttura ricettiva con conveniente rapporto qualita'-prezzo, e' quindi un punto ottimale da usare come base per visitare la citta'. 
Appena arrivati in stazione, l'uscita non e' certo gradevole, in quanto ci si ritrova nell'antistante piazza Garibaldi e si viene subito a contatto con alcuni dei lati peggiori di Napoli: il traffico caotico, i cantieri aperti, la difficolta' dei movimenti pedonali. Non scoraggiatevi e con un po' di pazienza raggiungerete la stazione degli autobus nel mezzo della piazza. Prendete il primo autobus che percorre il "rettifilo" e, nello spazio di poche fermate, sarete ai piedi del palazzo del vostro alloggio. All'epoca della mia visita dei lavori in corso riguardavano anche piazza della Borsa, ora pero' che la stazione della metropolitana e' stata ultimata (si tratta della stazione "Universita'" della linea 1) la piazza e' tornata priva di cantieri, arricchita dalla statua equestre di Vittorio Emanuele II. Il palazzo della Borsa, su un lato della piazza, sede attualmente della Camera di Commercio, e' una testimonianza del processo di "risanamento" voluto dal nuovo stato unitario italiano alla fine del secolo XIX. Come corso Umberto I e gli edifici situati lungo tale asse, il palazzo della Borsa fu costruito dove prima esistevano vicoli malsani, secondo un progetto che voleva dare lustro all'operato dello Stato da poco sorto e cancellare il passato borbonico. La citta' trasse beneficio dal "risanamento" anche se e' chiaro che fu piu' che altro un'operazione di facciata, in quanto la ristrutturazione interesso' un'area molto limitata. Tornando a piazza della Borsa, da citare, come curiosita', la storia della fontana del Nettuno, spostata in piu' punti della citta' nel corso dei secoli. In particolare, prima che iniziassero i lavori per la metropolitana la fontana del Nettuno si trovava appunto in piazza della Borsa, poi, quasi a sorpresa, nel 2001, riapparve in via Medina, a due passi da piazza del Municipio, dove era gia' stata a lungo in passato. 
Con una rapida passeggiata dalla fontana del Nettuno si raggiunge facilmente un'altra fontana, ben piu' famosa, la cosiddetta Fontana del Carciofo in piazza Trieste e Trento. Il nome deriva dal fatto che una vasca minore e' contenuta dentro una vasca piu' grande (l'acqua che zampilla dalla prima si getta sulla seconda). Qui siamo nel salotto di Napoli, e possiamo ammirare, l'uno di fronte all'altro, il teatro San Carlo e la galleria Umberto I. Il settecentesco teatro San Carlo, destinato all'opera lirica, e' un'autentica meraviglia e per realizzare al meglio il suo valore andrebbe visitato internamente. La galleria commerciale Umberto I, anch'essa frutto del "risanamento" di fine Ottocento, e' sempre trafficata ed esprime al massimo la vitalita' della citta'. Si compone di due strade che si intersecano al centro, coperte da una cupola in ferro e vetro che svetta su tutte le costruzioni circostanti. Si puo' approfittare della galleria per una sosta dedicata a un caffe', ma ancora meglio sarebbe tornare in piazza Trieste e Trento per entrare al Gambrinus, punto di ritrovo storico di Napoli. Costruito subito dopo l'arrivo di Garibaldi, divenne presto l'emblema della nuova Napoli, frequentato da intellettuali e uomini politici, ma anche da cittadini qualunque. Con le decorazioni in stile Liberty e le testimonianze degli artisti che lo frequentarono rappresenta qualcosa di piu' di un semplice caffe'. Entrarci e' come fare un tuffo nel passato rivivendo la Belle Epoque. Notevole la varieta' di tipologie di caffe' che si possono scegliere. Motivo di vanto del locale sono ovviamente anche i tipici dolci napoletani baba', sfogliatella e pastiera. 
Piazza Trieste e Trento, pur nella sua bellezza, assume un'importanza secondaria se confrontata con la piazza principale, la famosa piazza del Plebiscito, di cui in effetti costituisce una specie di porta di accesso. Piazza del Plebiscito stupisce per la sua grandezza, tanto che provoca smarrimento una volta che si e' nel mezzo. Si e' rapiti dallo spazio e dalla luce e le deformazioni della prospettiva ingannano. Non saprei in che modo ma si avverte la percezione netta che il mare non e' lontano: non lo posso vedere ma so che incombe a pochi metri. La piazza non e' chiusa, ma delimitata, su due lati opposti, dal Palazzo Reale e dalla Basilica di San Francesco da Paola. Il palazzo, costruito nel Seicento per ospitare i vicere' degli allora dominatori spagnoli, divenne poi residenza reale dei Borbone di Napoli nel lungo periodo del Regno delle Due Sicilie (1734-1861). Ma la basilica, maggiore esempio italiano di chiesa in stile Neoclassico, e' la protagonista assoluta della piazza. All'inizio del secolo XIX, fu prima costruito l'ampio porticato a forma di emiciclo durante il governo francese di Gioacchino Murat, in seguito, con il ritorno dei Borbone, il corpo della basilica. Esternamente questo si presenta con un ingresso in stile tempio greco-romano sormontato da un timpano, e con tre cupole di cui quella centrale, piu' grande, poggia su un alto tamburo.
Ancora una passeggiata, in discesa attraversando il quartiere di Santa Lucia, e ci si trova davanti Castel dell'Ovo. La fortificazione, che dispone di diverse torri, e' arroccata su un isolotto che si sporge sul golfo. Ai suoi piedi esiste infatti un porticciolo. L'ubicazione di Castel dell'Ovo permette di avere, dal posto, uno splendido panorama sul mare. Posillipo, Capri e, ovviamente, il Vesuvio, sono immediatamente riconoscibili. Anche se esistente da epoca piu' remota come villa piuttosto che come fortificazione, la struttura difensiva comincia a delinearsi nel medioevo, nel periodo in cui Napoli venne conquistata dai Normanni, per poi perfezionarsi ulteriormente sotto gli Svevi e quindi gli Angioini. Successivamente piu' che fortezza fu prigione: in essa vennero tristemente reclusi rivoluzionari ed oppositori dei vari domini di turno. Con l'avvento degli Angioini la residenza reale divenne infatti Castel Nuovo, detto anche Maschio Angioino, il momumento tuttora piu' famoso di Napoli tanto da costituirne il simbolo. Anche Castel Nuovo si affaccia sul mare, ma rispetto a Castel dell'Ovo ha l'aspetto piu' di reggia che di semplice costruzione difensiva. Voluto da Carlo I D'Angio', sotto i re angioini a lui successori si rafforzo' e divenne centro di cultura, ospitando artisti e letterati. Fu pero' anche severamente danneggiato da vari attacchi, tanto che l'aspetto attuale si deve alla ricostruzione avvenuta in seguito con gli Aragonesi. Se non avete tempo per una visita approfondita all'interno, fermatevi almeno davanti all'ingresso ed ammirate, fra le due torri, l'arco di trionfo in marmo, capolavoro non da poco. Con l'annessione del regno di Napoli a quello di Spagna, Castel Nuovo diventa un presidio militare, oltre che residenza momentanea per il sovrano spagnolo quando capitava in citta'. I Borbone contribuiscono a ristrutturarlo e mantenerlo fino a noi. Oggi, fra l'altro, ospita anche il museo civico di Napoli.
Se dopo questi giri avete ancora un po' di energia nelle gambe, tornate a Piazza Trieste e Trento e da li' indirizzatevi a via Toledo, dove potrete fare shopping. Sia per la qualita' dei negozi che per il clima che si respira (piu' a misura d'uomo), Via Toledo e' piu' indicata agli acquisti ed al relax rispetto al sopracitato corso Umberto I, l'altra grande arteria della citta'. Al termine di Via Toledo troverete piazza Dante, importante non solo perche' punto nevralgico dei trasporti cittadini, ma anche per la presenza di alcune chiese e, soprattutto, del Foro Carolino. Costruito dal Vanvitelli in omaggio a Carlo III di Borbone, e' un complesso ad emiciclo sormontanto, ai lati, da statue raffiguranti le virtu' del re, al centro da una torretta con orologio. A piazza Dante e' difficile annoiarsi, dato il movimento di gente e la probabile presenza di bancarelle o mercatini. Per godere di una visuale di Napoli diversa, una buona idea e' servirsi della funicolare che, dalla stessa Via Toledo, conduce alla collina del Vomero (il sistema dei trasporti a Napoli e' molto articolato). Una volta in cima le opzioni sono diverse: mangiare in uno dei tanti ristoranti del quartiere, visitare Castel Sant'Elmo oppure la Certosa di San Martino. Una meta piu' insolita, ma non da trascurare, potrebbe essere Villa Floridiana con relativo parco. Sentieri tortuosi attraversano boschetti e giardini, poi, quasi all'improvviso, gli spazi si aprono verso una terrazza che offre un panorama sulla citta' tra i piu' belli. 
Se il vostro soggiorno, a questo punto, sta finendo (le mie due giornate sono passate velocemente), non potete pero' partire se non avete ancora visitato la "vera" Napoli, ovvero Spaccanapoli e dintorni, il cuore popolare della citta'. Da non mancare via San Biagio dei Librai (che insieme ai Quartieri Spagnoli forma il Decumano inferiore) e la parallela via dei Tribunali (il Decumano maggiore). Le due vie sono congiunte trasversalmente da via San Gregorio Armeno, la via dei presepi, con le botteghe artigianali che fabbricano presepi e statuine ogni giorno dell'anno. Se capitate abbastanza prima di Natale, eviterete l'eccessivo affollamento che rende la strada impercorribile e godrete comunque dell'atmosfera di festa. Se ve la sentite di spendere qualche decina di euro per una statuina, acquistate come souvenir da riportare a casa il presidente Barack Obama o l'azzurro Fabio Cannavaro che stringe la Coppa del Mondo. Sempre nella zona merita una rapida visita il Duomo di San Gennaro, il patrono della citta', autore del noto miracolo della liquefazione del sangue, che si ripete ogni anno. All'interno della cattedrale, la barocca Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro, con le reliquie del santo, sulla destra, e' ricca di ornamenti, marmi e dipinti. Una tappa obbligata e' una sosta presso una delle tante pizzerie, ad esempio "Di Matteo" lungo via dei Tribunali. La pizza napoletana ha caratteristiche proprie che la distinguono da tutte le altre: l'impasto e' morbido ed elastico, non troppo cotto; la pizza si presenta alta ai bordi, meno al centro ma mai sottile. Gli unici ingredienti ammessi come condimento sono pomodoro e mozzarella, oltre a questi al limite si aggiungono le acciughe. Nelle pizzerie dove la pizza e' acquistata per essere mangiata per strada spesso viene servita "a libretto", cioe' piegata in quattro lembi sovrapposti per essere afferrata meglio.
Prima di prendere il treno per il ritorno, concedetevi infine una o piu' sfogliatelle nella pasticceria all'angolo di piazza Garibaldi, di fronte alla stazione, non e' complicato trovarla (dovrebbe chiamarsi "F.lli Attanasio"). Un vassoio, con gusti assortiti, vi potra' tenere compagnia durante il viaggio verso casa. Chiudo con alcune considerazioni e osservazioni varie: e' stupefacente la rassegnazione ed il fatalismo delle gente che aspetta l'autobus del sabato, che potrebbe passare ma anche no, a discrezione credo dell'autista o di chissa'  quali altri incogniti fattori; se poi l'autobus passa, salite e vi fate riconoscere che siete turisti, soprattutto da come tenete stretta la vostra borsa, qualche passeggero del posto ci terra' ad informarvi su usi e costumi dei borseggiatori nella zona, cercando, nello stesso tempo, di rassicurarvi; i ristoratori potrebbero essere furbi con voi turisti applicando dei prezzi esagerati, ad esempio, ad un piatto con si' molti paccheri ma altrettanto poco pesce; se, involontariamente, assumete un atteggiamento che potrebbe far pensare che siete voi che volete fare i furbi, verrete redarguiti senza tanti giri di parole (con in mano lo scontrino per una sfogliatella semplice, volevo farmene dare una al limone, ignorandone il costo maggiore...); a parte all'arrivo ed alla partenza, quando non potete fare a meno di passarci, evitate i dintorni della stazione, potreste capitare in zone affollate di gente disperata, accampata per strada, nella sporcizia e nel degrado piu' assoluti (nessuno mi ha infastidito ma la scena, da paese non civilizzato, mi ha fortemente impressionato).

Piazza Trieste e Trento
Piazza del Plebiscito
Panorama del Vesuvio da Castel dell'Ovo
Castel Nuovo (Maschio Angioino)
Panorama dal Vomero
Duomo di San Gennaro
Via San Gregorio Armeno

giovedì 5 maggio 2011

Il Ponte della Musica

Il regalo di compleanno verra' consegnato in ritardo di un mese. Il nuovo ponte di Roma, il Ponte della Musica, doveva essere inaugurato lo scorso 21 aprile, ricorrenza della fondazione della citta', l'amministrazione comunale ha poi rinviato al 21 maggio, ufficialmente per dare maggiore risalto all'evento (date le numerose ulteriori iniziative programmate per la festa della capitale). Lo slittamento in realta' servira' anche a completare il ponte, dato che ancora il cantiere e' operativo. Immaginiamo che stiano procedendo con gli ultimi internenti di finitura e di collaudo. Nulla di serio quindi, il ponte c'e' e puo' essere gia' ammirato dall'esterno, rispetto a note storie di tante altre opere pubbliche, questa non si presta a generare polemiche. In fondo e' stato realizzato in soli tre anni, nulla rispetto ai tempi biblici che spesso si riscontrano nel settore delle costruzioni. Certo il ponte in questione non e' di una complessita' estrema come esecuzione, inoltre alcuni rallentamenti, seppure minori, ci sono comunque stati (imputati ad interruzioni dei lavori durante le piene del Tevere capitate negli anni passati). 
Anche a proposito dei costi sembra non ci siano stati dibattiti rilevanti, gli 8 milioni di euro spesi a quanto pare rientravano nel budget previsto. Inoltre, l'attuale sindaco Alemanno, pronto a schierarsi contro gli architetti stranieri ed i loro progetti romani (vedere il muro della teca dell'Ara Pacis di Meier che il sindaco dichiarava di voler abbattere), non ha espresso critiche in questo caso (il progetto e' dello studio inglese Buro Happold famoso fra l'altro per aver concepito il Millenium Dome di Londra). Nonostante potesse essere incitato a farlo considerando che l'idea del ponte nasce e si realizza sotto i precedenti due sindaci di schieramento politico opposto. Infatti Rutelli apri' il concorso internazionale nel 1999, Veltroni ne segui' l'appalto e l'iter successivo. Polemiche potevano esserci anche per quanto riguarda il nome, volendo, ma il nome originale e' rimasto nel corso degli anni e pare che sara' quello definitivo. 
Per capire come mai si e' pensato di dedicare il ponte all'arte musicale, occorre conoscere la sua posizione. Scopo dell'opera sara' collegare il lungotevere Flaminio con il lungotevere Maresciallo Cadorna, ovvero i due quartieri Flaminio e Delle Vittorie. Da una parte quindi il recente museo MAXXI della Hadid e l'Auditorium di Piano, dall'altra il Foro Italico nella sua zona piu' meridionale, occupata dalla Casa della Scherma di Moretti. Il nome scelto e' piu' che altro un omaggio all'Auditorium quindi. Forse sarebbe stato piu' giusto battezzarlo "Ponte dell'Arte", a richiamare, complessivamente, le arti figurative e la musica di una sponda e l'architettura razionalista della sponda opposta. Anche perche' a Roma attualmente c'e' un secondo ponte in lavorazione, in zona Ostiense, che sara' detto "Ponte della Scienza" (e "scienza" e' pure un termine generico che racchiude diverse discipline). Discorsi teorici a parte, e' chiaro che l'inaugurazione di un ponte rappresenta un avvenimento importante che non capita frequentemente, destinato a cambiare la fisionomia di un paesaggio e le abitudini quotidiane di migliaia di persone. Il precedente ponte costruito sul Tevere, all'interno della citta' di Roma, e' stato il ponte Nenni, detto anche ponte della metropolitana, che risale in effetti agli anni 1971-1972. 
Andando piu' in dettaglio sulle caratteristiche, il Ponte della Musica si differenziera' da tutti i ponti che lo hanno preceduto sia per il suo linguaggio contemporaneo (elemento non da poco, sappiamo che in una citta' come Roma espressioni architettoniche all'avanguardia non trovano spazio), che per la sua apertura esclusiva ai pedoni ed al trasporto pubblico. Inizialmente passeranno bus elettrici, in un futuro, purtroppo lontano credo, vi sara' il passaggio di una linea di tram, seguendo un piano che prevede di intensificare i collegamenti di superficie nella zona (possiamo dare per scontato che lo sviluppo della metropolitana, seppure in atto, non raggiungera' mai grossi livelli di capillarita'). Il timore, per la fase attuale, e' che possano essere concessi permessi speciali di passaggio a taxi e vetture private, che si aggiungerebbero al traffico dei bus elettrici. Cio' sminuirebbe, almeno in parte, la vocazione per cosi' dire ecologica della struttura. Vedremo, con il futuro utilizzo, quali saranno i benefici effettivi sulla mobilita', non e' dubbio comunque che due quartieri, finora isolati l'uno con l'altro (tra il ponte Duca d'Aosta ed il ponte  Risorgimento intercorre un chilometro e mezzo), in seguito lo saranno meno. Del resto gia' dal Piano Regolatore del 1916 si sottolineava la necessita' di un ponte fra i due quartieri. L'intento di avvicinare le due parti della citta' fra loro e quindi al Tevere e' palese anche per il fatto che saranno previste due piazze pedonali ai due estremi e che si avra' la possibilita' di discesa diretta al piano del fiume. 
Tecnicamente parlando il ponte e' a campata unica ed e' costituito da due archi di acciaio che sostengono un impalcato pure di acciaio. I due archi poggiano su sostegni di calcestruzzo coprendo una luce di 160 metri (la lunghezza complessiva del ponte e' invece di 190 metri). La particolarita' e' che i due archi (verniciati di bianco come la struttura che regge la copertura del vicino Stadio Olimpico) non sono paralleli ma inclinati verso l'esterno, questo comporta che in pianta il ponte abbia l'aspetto di una foglia ovale (larga al centro e stretta agli estremi). Inoltre l'impalcato e' piuttosto basso (solo un metro e mezzo), quindi il tutto contribuisce a dare allo spettatore una percezione di leggerezza e di eleganza. Visto lateralmente, cioe' non dal fiume ma dalla strada, si osservano, come nella prima foto sotto riportata, le tre corsie. Quella centrale, gia' asfaltata, riservata al passaggio dei mezzi, le due laterali piu' strette, pavimentate con i mattoncini, per i pedoni (notare che i mattoni potrebbero richiamare, anche come colore, le superfici esterne dell'Auditorium). Nella stessa foto si nota inoltre che i parapetti sono stati montati, non possiamo invece vedere i sampietrini nelle aree di accesso al ponte che comunque gia' sono stati messi in opera. La seconda foto mostra un panorama dal ponte Duca d'Aosta dove si puo' apprezzare l'impatto suggestivo del ponte, moderno e nello stesso tempo equilibrato. La migliore visuale e' pero', secondo me, quella di tre quarti, in quanto si cattura in misura maggiore la dimensionalita' degli archi (terza foto).





venerdì 22 aprile 2011

Fuori i profitti dall'acqua

I prossimi 12 e 13 giugno gli italiani saranno chiamati ad esprimersi sul referendum che propone di bloccare la privatizzazione dell'acqua. Si completera' in quei giorni un processo, partito l'anno scorso, che ha visto la partecipazione di numerosi volontari, uniti nel promuovere la battaglia per la difesa dell'acqua pubblica, e che ha portato alla raccolta di ben un milione e quattrocentomila firme. Questo numero testimonia che il tema della corretta gestione dell'acqua, il bene comune per eccellenza, e' sensibilmente percepito dalla popolazione. Una volta raccolte, le firme sono state consegnate alla Cassazione che le ha giudicate valide. Subito dopo e' intervenuta la Corte Costituzionale che, nell'esprimersi sui tre quesiti referendari proposti, ne ha dichiarati legittimi due. Su questi due dovremo pronunciarci il prossimo giugno. Putroppo il Consiglio dei Ministri non ha voluto accorpare questo e gli altri referendum (energia nucleare e legittimo impedimento) alle elezioni amministrative di maggio, cosa che avrebbe permesso allo Stato di risparmiare centinaia di milioni di euro. Tale scelta ovviamente contribuisce a rendere piu' difficile il raggiungimento del quorum, obiettivo che, sappiamo, spesso fallisce. Anzi sempre, se consideriamo gli ultimi sedici anni. Infatti l'ultimo appuntamento referendario che ha attirato piu' del 50% degli elettori e' stato quello del 1995 (del gruppo, enorme, di dodici referendum, si ricordano in particolare i tre relativi alle reti televisive private, con gli italiani che si dichiararono contrari alla cancellazione di norme ad esse favorevoli). Da allora in poi tutti i referendum, nelle varie tornate del 1997, 1999, 2000, 2003, 2005 e 2009, non sono stati altro che uno spreco di denaro pubblico. Tanto che qualcuno comincia a porsi dei dubbi sull'utilita' dello strumento referendum. In effetti soluzioni semplici ci sarebbero: andrebbe rivista, abbassandola, la soglia minima di partecipanti al voto oppure innalzato il numero minimo di firme promotrici (attualmente sono necessarie cinquecentomila). Ma il rimedio migliore dovrebbe essere un altro, cioe' aumentare il dibattito politico intorno ai temi affrontati dai referendum nei mesi che li precedono in modo da informare i cittadini e permettere loro di maturare delle opinioni. E' triste constatare che cio' non accade, la maggioranza delle televisioni e dei giornali parlano di referendum in modo troppo generale, accennano al referendum "sull'acqua" ad esempio, ma non ne spiegano i dettagli. Gli esponenti politici si comportano anche peggio, a meno che il referendum non sia stato promosso dal proprio partito, la tendenza prevalente e' quella di ignorare l'argomento, oppure in alcuni casi si esorta addirittura a disertare le urne (famosi gli inviti ad andare al mare piuttosto che votare). 
Il referendum contro la privatizzazione dell'acqua non ha alcun supporto politico, essendo il risultato del lavoro di cittadini che si sono organizzati liberamente, incontrandosi nelle piazze e attraverso internet (2 Si' per l'Acqua Bene Comune). Quindi, se finora ha trovato poca visibilita', poco o nulla cambiera' da qui in avanti, chi vorra' informarsi non potra' sperare di farlo tramite i canali tradizionali. A peggiorare la situazione, di recente, si e' aggiunto il retrofront del governo sul nucleare (l'abbandono del piano energetico che era in procinto di partire). In pratica e' stato votato un decreto che abroga le norme che dovevano servire per costruire nuove centrali nucleari in Italia, rendendo cosi' nullo il referendum su tale questione (ebbene si', succede anche questo). Il venire meno di un referendum avra' evidentemente ripercussioni negative sugli altri. In realta', se fossero veri i sospetti che il governo vuole combattere il raggiungimento del quorum sul legittimo impedimento (per difendere, ancora una volta, il premier che ne e' a capo), ci sarebbe da preoccuparsi anche riguardo iniziative che possano cancellare i due referendum sull'acqua. Notizia fresca di giornata, infatti, e' la dichiarazione del ministro Romani che auspica un approfondimento legislativo sulla questione, perche', a sua detta, come il tema del nucleare, anche quello dell'acqua e' un tema caldo che spacca in due l'opinione pubblica. Come a dire, il cittadino non e' in grado di decidere perche' si lascia prendere da aspetti emotivi, decido io per lui, bell'esempio di partecipazione democratica! Credo che sia nella natura di un referendum trattare argomenti "caldi", che accendono passioni e discussioni, altrimenti eliminiamoli e non stiamo piu' a prenderci in giro. 
Veniamo dunque ai contenuti dei due quesiti inerenti la gestione dell'acqua, cercando di approfondirli, seppure sinteticamente. Il primo quesito e' intitolato "Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione". Scegliendo il si' si e' favorevoli ad abrogare la parte del decreto Ronchi relativa ai servizi idrici. Il decreto Ronchi, approvato nel 2009, adempie ad una serie di obblighi comunitari, nell'ambito di diversi settori, fra cui la lotta alla contraffazione. In effetti fu molto pubblicizzato come strumento di difesa del "made in Italy" e di rilancio dell'economia italiana. Ma all'interno del pacchetto del decreto fu anche inserito, con una almeno apparente forzatura, l'obbligo, per le societa' di servizi idrici, del passaggio a capitale di maggioranza privato (i dodici commi dell'art. 23 bis). Cio' per recepire, teoricamente, i principi comunitari di "economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza". In base al decreto Ronchi quindi, lo societa' idriche che tuttora sono pubbliche (e sono la netta maggioranza) dovranno cessare la loro attivita' entro dicembre 2011 o convertirsi in societa' miste privato-pubblico, in cui la quota' di capitale privato sia almeno del 40%. Il secondo quesito e' riassunto cosi': "Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma". Votando si' si chiede l'abrogazione dell'art. 154 di un decreto del 2006 contenente norme in materia ambientale nella parte in cui si cita "adeguata remunerazione del capitale investito". Tali parole permetterebbero ai gestori di aumentare le tariffe ottenendo un profitto proporzionale al capitale investito. Entrambi gli articoli che i promotori dei referendum intendono abrogare renderebbero possibile una privatizzazione al di fuori di ogni regola, senza un controllo sui limiti massimi delle tariffe e sulla qualita' dei servizi, trasformando di fatto l'acqua da bene comune a merce.

martedì 12 aprile 2011

I nostri soldi

E' una cifra impressionante, 61 miliardi di euro. E' quanto speso dagli italiani nel 2010 per i giochi d'azzardo. Dato che la popolazione totale e' di poco superiore ai 60 milioni, e' facile calcolare la spesa media a persona, vengono mille euro tondi tondi. E' difficile pensare a spese piu' consistenti, una persona dal reddito medio in un anno arrivera' a spendere cifre superiori a mille euro solamente per alimenti e eventuali mutui o rate. Per abbigliamento o vacanze, tanto per fare degli esempi, probabilmente si spende qualcosa in meno. Se cio' non basta a convincersi dell'enormita' della cifra, allora si potrebbe anche riflettere sul fatto che 61 miliardi sono circa il 3% del PIL nazionale e ben il 15% delle entrate dello Stato. In effetti si dice spesso che il gioco e' una tassa aggiuntiva che lo Stato applica ai cittadini, purtroppo questo messaggio sembra non essere abbastanza efficace a quanto pare. Si dovrebbe dire piu' chiaramente che il gioco, nelle sue innumerevoli varianti ("Lotto", "Superenalotto", "Gratta e Vinci", e tanti altri) e' una truffa legalizzata: il banco, cioe' lo Stato, vince sempre sul giocatore. Questo perche' la vincita del giocatore non viene pagata in modo inversamente proporzionale alla probabilita' di vittoria ma in misura molto inferiore. Complessivamente quindi, lo Stato non ci rimette mai, mentre sappiamo che un gioco, per essere definito equo, dovrebbe porre tutte le parti nella medesima condizione. Anche volendo ignorare questo aspetto di natura statistica, chi gioca nella speranza di un colpo di fortuna, farebbe bene a tenere a mente che le probabilita' di vincita al "Superanalotto", per esempio, sono una su 622 milioni (l'aiuto delle stelle dovrebbe essere bello grosso, e' piu' probabile morire in un incidente stradale).
Il fenomeno gioco non puo' essere ignorato perche' e' in fase sempre piu' crescente, in prospettiva futura i suoi effetti saranno sempre piu' preoccupanti. Gia' tuttora riguarda ampie fasce della popolazione, specialmente quelle piu' deboli, con bassi redditi (o pensioni). E' evidente che chi gioca segue il sogno di una vita migliore. Dato l'ammontare delle cifre di cui stiamo discutendo e' inevitabile che il gioco, quando crea dipendenza, va ad incidere pesantemente sui bilanci familiari gia' traballanti. Ai problemi di carattere psicologico (chi si fa prendere dal vizio del gioco altera' la propria personalita', peggiora il suo stile di vita) si aggiungono quindi problemi economici, che si ripercuotono sia sull'individuo che sui familiari (notizie di cronaca riportano anche indebitamenti nei casi piu' gravi). Ma per quali motivi il trend delle giocate e' cosi' positivo negli ultimi anni? Forse per la crisi economica che ha provocato licenziamenti, unita alla precarieta' del lavoro e contemporanemente ad un incremento del costo della vita, la gente ha bisogno di maggiori illusioni? Se cosi' fosse lo Stato ci ha messo del suo, aumentando sia l'offerta di giochi che la loro pubblicizzazione. Fra programmi televisivi specifici, rubriche e servizi di telegiornali, il telespettatore e' informato in diretta sui numeri dell'ultima estrazione del "Lotto" e percepisce la vincita come un evento alla portata di mano. Tutto, da un punto di vista mediatico, tende a predisporre nell'utente un atteggiamento favorevole al gioco. Si pensi ad esempio l'effetto cassa di risonanza quando c'e' un montepremi elevato, piu' se ne parla in tv con toni entusiastici piu' crescono le giocate, secondo un circolo vizioso in cui ci guadagnano tutti tranne il cittadino che si auto-tassa. Un ultimo elemento che va considerato e' la facilita' di accesso al gioco. In un qualunque bar, anche fra i piu' piccoli, si trovano macchinette per slot-machine o video-poker. Per non parlare poi dei "Gratta e Vinci", ultimamente li vendono anche alle Poste, e gli impiegati credo siano stati sollecitati a venderli, data l'insistenza con cui provano a convincere il cliente di turno. Alcuni malcelando un palese imbarazzo (fra libri, dvd, gadget vari e "Gratta e Vinci " l'impiegato deve avere la sensazione di lavorare in una carto-libreria qualunque).
Questa ampia premessa sul gioco d'azzardo e' finalizzata al mio intento di proporre un modo piu' ragionevole per impiegare i nostri soldi: elargendoli alle "Onlus" (Organizzazioni non lucrative di utilita' sociale) che li useranno per le loro attivita' benefiche. In particolare mi interessa evidenziare il lavoro che svolge il "Comitato per la Vita Daniele Chianelli". Sorto a Perugia nel 1990 grazie alla volonta' di genitori che avevano vissuto l'esperienza di un figlio malato, il Comitato si adopera per il sostegno di bambini ed adulti ricoverati nei reparti di Oncoematologia Pediatrica ed Ematologia dell'ospedale Silvestrini di Perugia. Ad oggi conta ventimila soci, ed ha sedi dislocate non solo in Umbria ma anche in varie regioni d'Italia. Si basa inoltre su un vasto gruppo di volontari che dedicano il loro tempo alle varie attivita' previste sia nei reparti sopra citati che nel "day hospital " dell'ospedale perugino. Uno dei risultati piu' importanti raggiunti dal Comitato e' stata le realizzazione del "Residence Daniele Chianelli". Si tratta di una struttura ricettiva, una delle poche nel suo genere, che intende ospitare malati e familiari nei periodi che intercorrono tra un ricovero e l'altro. I cicli di cura per le malattie leucemiche sono molto lunghi e si compongono di differenti fasi, una casa in grado di accogliere malati e familiari, spesso provenienti da lontano, con tutto il sostegno possibile, materiale e morale, dato dai volontari, e' sicuramente un notevole aiuto. La struttura dovrebbe arricchirsi in futuro di un'area verde, denominata "Parco del Sorriso", pensata per i bambini ospiti del residence (sara' quindi dotata di giochi e di attrezzature per attivita' all'aria aperta). Il supporto (e completamento) dell'attivita' medica ordinaria si esplica anche in altre finalita' del Comitato: le donazioni e l'incentivo alla ricerca scientifica. Con
i fondi raccolti nel corso degli anni sono state donate decine di strumentazioni all'ospedale. La ricerca viene invece promossa tramite finanziamento di borse di studio per studenti e ricercatori nell'ambito delle leucemie e dei linfomi (un aspetto interessante al riguardo e' l'investigazione sulle cellule staminali).
Si puo' dare il proprio contributo al Comitato, oltre che con il volontariato, in vari modi, meno impegnativi ma altrettando indispensabili: con donazioni dirette (sul sito sono riportate le coordinate dei conti correnti bancario e postale); devolvendo il 5 per mille in occasione della dichiarazione dei redditi (sempre sul sito ci sono le istruzioni necessarie); acquistando le "Stelle di Natale" e le "Uova della Speranza", prima delle feste natalizie e pasquali, nei banchetti allestiti presso piazze e supermercati. Basta davvero poco per partecipare a battaglie cosi' importanti, condividere gli obiettivi del "Comitato per la Vita Daniele Chianelli", una volta averlo conosciuto, dovrebbe essere un atto spontaneo e naturale. Il gabbiano, su sfondo azzurro, e' il simbolo del Comitato, quasi a rappresentare la volonta' di volare oltre gli ostacoli della malattia e di apprezzare la gioia di vivere nello stesso tempo. Compito difficile ma non impossibile. Tante persone, con uno sforzo comune, possono far volare in alto il gabbiano!

giovedì 7 aprile 2011

Febbre a 90'

"Mi innamorai del calcio come mi sarei innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con se'".
Cosi' inizia Febbre a 90' di Nick Hornby, un libro che, a differenza di tanti altri, non descrive una storia che ruota intorno al calcio, ma va nel profondo di quell'atteggiamento irrazionale e fanatico che chiamiamo tifo. Il racconto autobiografico si sviluppa dall'infanzia all'eta' adulta passando dal ricordo di una partita alla successiva, in rigoroso ordine cronologico. Non sono i fatti della vita a procedere in modo autonomo, il cardine della narrazione e' l'Arsenal, la nota squadra di Londra, tutto il resto si sviluppa intorno alle vittorie ed alle sconfitte, i campionati e le finali di coppa, gli stadi e le trasferte. Ovviamente tale scelta non e' casuale, infatti rende bene l'idea di come funziona la mente di un tifoso: un vero tifoso quando pensa ad uno specifico anno passato pensa ad un avvenimento sportivo riguardante la sua squadra, accaduto nell'anno, di memorabile valore (la conquista di un trofeo ma anche una singola partita giocata in modo spettacolare o vinta all'ultimo minuto). Solo in un secondo momento l'evento calcistico permette di associare vicende della vita personale anche importanti (un fidanzamento, un successo sul lavoro, un viaggio appagante).
La frase di apertura sopra riportata racchiude alcuni elementi che contraddistinguono il modo d'essere di un tifoso, soprattutto e' significativo che amore e dolore compaiano insieme. Come l'innamorato il tifoso puo' passare facilmente tra stati d'animo opposti, e' inebriato dalla bellezza della donna amata e con lei gioisce, ma puo' anche disperarsi e soffrire quando l'amore non e' ricambiato oppure svanisce. A meno di non essere fortunati (o opportunisti) tifando una squadra normalmente abituata a vincere, chi si innamora di una squadra non di vertice, nel momento in cui scocca la scintilla, condanna se stesso ad un'esistenza di cocenti delusioni e frustrazioni, intervallata sporadicamente da euforie tanto intense quanto brevi. Per quanto riguarda l'Arsenal in particolare, occorre specificare che, pur essendo la terza squadra piu' titolata di Inghilterra (13 campionati vinti), il periodo a cui il libro fa riferimento (1968-1992) fu piuttosto povero di risultati per i bianco-rossi, quantomeno nella parte centrale. Il protagonista rimane affascinato dall'Arsenal nella prima partita vista ad Highbury insieme a suo padre, un Arsenal-Stoke City giocata il 14-9-68. La prima stagione da tifoso si conclude gia' con un'amara sconfitta in finale di coppa di lega. Tuttavia non dovra' aspettare molto che, arrivera' nel '71 la storica doppietta campionato e coppa di Inghilterra. Si trattera' pero' di un anno eccezionale, come poi dimostreranno le stagioni a venire. Infatti l'Arsenal dovra' aspettare l'89 per vincere nuovamente il campionato. Il libro quindi racconta la passione autentica del tifoso che sostiene a prescindere la squadra, anche nei peggiori momenti di difficolta', quasi fosse una fede. Viene evidenziato inoltre un aspetto psicologico molto realistico: mentre l'esultanza a seguito di un trionfo e' vissuto in modo collettivo, la mortificazione per una sconfitta e' elaborata privatamente, tenuta nascosta nel proprio animo fino a quando non scompare. Come un ago sottile infilato nella pelle che non puo' essere toccato altrimenti farebbe ancora piu' dolore, il tifoso triste non va consolato in nessuna maniera. Qualsiasi parola di conforto sarebbe inutile, le delusione deve sbollire naturalmente, come un eroe romantico il tifoso affronta in solitudine il proprio tormento, nessun altro potrebbe capirlo.
Ritornando alla frase iniziale notiamo che l'autore definisce il suo innamoramento come improvviso. Sebbene la scelta di una squadra sia un evento importante in quanto irripetibile (si puo' cambiare una moglie, una casa, un'idea ma la squadra del cuore mai), in genere la consapevolezza di voler appartenere ad una squadra matura molto rapidamente, ed e' legata a qualche evento calcistico di notevole risonanza. Ricordo ad esempio di aver iniziato ad interessarmi al calcio vedendo le partite dei mondiali in Messico del '86 sulla tv a colori di amici dei miei. Dopo qualche mese, durante la lettura della classifica di serie A in un telegiornale della sera, mi apparse chiaro, quasi come fosse un'ispirazione, la squadra alla quale mi sarei dovuto legare per il resto della vita (non solo si realizzo' improvvisamente quindi, ma anche inesplicabilmente). L'impossibilita' di spiegare o il voler fuggire le spiegazioni (acriticamente, riferendosi ancora alla frase di apertura) sono fenomeni che poi accompagnano lo stile di un tifoso senza alcuna discontinuita'. Citando cio' che e' descritto nel libro, come spiegare le trasferte in treno nelle citta' piu' lontane magari per una partita di ritorno con giochi fatti gia' all'andata, dovendo prendere pure un giorno di ferie? Che spiegazioni dare ai familiari quando la propria vita viene programmata in funzione del calendario calcistico? Addirittura pretendendo di farsi accompagnare nel caso di qualche impedimento fisico (il protagonista si reca ad Highbury nonostante la gamba ingessata)? Tutto cio' e' ancora piu' assurdo se si pensa, e giustamente nel libro viene fatto notare, che la stessa dedizione ed attaccamento alla squadra spesso non si riscontrano nei giocatori (l'autore ad un certo punto si chiede come sia possibile, appena una settimana dopo una finale persa, che essi siano tutti allegri e sorridenti come nulla fosse successo). Difficile dare giustificazioni razionali ai disagi patiti nel recarsi negli stadi e dentro gli stadi nell'assistere alle partite. A questo proposito e' necessario sottolineare che il calcio degli anni '70 e '80 era il calcio di un'altra epoca. A livello sportivo era un calcio che possiamo definire epico, fatto di corsa e di sudore, di grandi talenti ma soprattutto di grande agonismo e impegno fisico (cosi' almeno una buona parte del calcio inglese, poco aperto alle influenze estere e alle novita' del calcio "totale"). In particolare l'Arsenal era una squadra che aveva la fama di essere brutta, di giocare male, di vincere spesso per 1-0, con il minimo sforzo (da qui anche la fama di essere fortunata). Da un punto di vista organizzativo era invece il calcio che precedeva il rapporto Taylor, quello con gli stadi senza posti a sedere, le tribune e le vie d'accesso affollate piu' del dovuto, gruppi di tifosi che caricavano, scontri piu' o meno violenti sia all'interno che all'esterno della strutture sportive. Infatti gli amanti del calcio di quell'era non erano ben visti dall'opinione pubblica, la societa' inglese, nel suo complesso, li considerava rozzi e volgari. Seguire il calcio, specialmente in trasferta, poteva essere un'esperienza pericolosa. Nel libro vengono menzionati sia i fatti di Wembley che quelli, assai piu' gravi come numero di vittime, di Hillsborough, specificando che solamente per pura casualita' simili tragedie non sono capitate piu' spesso. Come il tifoso sappia dimenticare rapidamente episodi drammatici accaduti negli stadi per riportare subito in primo piano rivalita', vittorie e sconfitte e' un altro dei vari misteri insondabili del calcio.
Il quadro che l'autore dipinge sul tifo racchiude altre sfumature curiose oltre a quelle elencate finora. Ad esempio l'effetto "ritardante" che il calcio produce sugli individui. Il calcio assume, nella mente del tifoso, la forma di un mondo fantastico, illusorio, che aliena e isola dalla vita reale. L'autore confessa di lasciarsi andare, in qualunque momento della giornata, a pensieri su azioni e gol di partite passate, che vengono ricostruiti nella sua immaginazione. La dimensione calcistica viaggia parallela alla realta' quotidiana, assorbendone desideri ed aspirazioni. Il limbo calcio e' un "micro-universo" gratificante, che distoglie dalle preoccupazioni concrete. L'autore del libro, una volta terminata l'universita', ha difficolta' ad indirizzare la sua vita, passando da un incarico di insegnamento all'altro, comprende che dovrebbe realizzarsi diversamente, ma non e' in grado di operare delle scelte. Il calcio serve a "ritardare" la sua crescita, a sospenderla in attesa di uno sviluppo ancora non definito.
Nonostante cio' calcio e vita, secondo l'autore, procedono con parallelismo perfetto, nessuno influenza l'altro ma, magicamente, raggiungono in sincronia periodi negativi e positivi. I lunghi anni di insuccessi dell'Arsenal coincidono in gran parte con la fase buia dell'autore (anche dal lato sentimentale), la vittoria in campionato del '89, e poi quella del '91, sanciscono invece la sua affermazione personale (finalmente diventa uno scrittore). Infine, il libro vuol essere un omaggio al calcio come gioco, uno sport imprevedibile in cui puo' vincere, a volte, la squadra piu' debole, ed il colpo di genio, l'estro, possono essere piu' decisivi della tattica e della disciplina. Ed e' anche un omaggio ai suoi protagonisti, dai giocatori simbolo, leader per carattere o doti tecniche, a quelli bravi per arrivare a giocare nella massima divisione ma non abbastanza per costruirsi una carriera di successo (come nella vita vera la selezione e' spietata, per quanto si possa confidare nei proprio mezzi). Un omaggio al senso di appartenenza del tifoso ed alla meravigliosa circostanza per cui, qualunque cosa accada alla tua squadra, attraverso di essa un amico o conoscente pensera' anche a te. Pur non capendo la tua fede o forse respingendola, ti identifichera' con la squadra per cui tifi, miracoli che solo il calcio sa creare.
Qui sotto la foto del gol all'ultimo minuto di Michael Thomas in Liverpool-Arsenal 0-2, ultima partita della stagione '89. L'Arsenal doveva vincere per almeno due gol di scarto per superare il capolista Liverpool per differenza reti, e' cosi' avvenne, all'ultimo respiro. La vittoria leggendaria e' anche l'evento culminante dell'intero libro, quasi come fosse un'invenzione letteraria piuttosto che un fatto realmente accaduto.


venerdì 1 aprile 2011

La bassa fermentazione

Allo stato attuale nel mondo piu' del 90% della birra prodotta e' a bassa fermentazione. Tuttavia il numero di stili di appartenenti alla bassa fermentazione e' piuttosto limitato data la relativa giovinezza di tale birra (meno di due secoli di vita). Molto spesso poi le varie produzioni si confondono (essendo contraddistinte da una bassa complessita' aromatica) per cui la maggioranza delle birre comunemente bevute sono definibili genericamente come "lager", che in tedesco significa magazzino, luogo dove sono lasciate a maturare (passaggio questo che non avviene per le ale, le birre ad alta fermentazione).
Gli stili tipici della birra bassa fermentazione sono tre, monacense, viennese e boemo, qui di seguito descritti.

Munchner
La bassa fermentazione in realta' fu scoperta ben prima dell'Ottocento. I monaci bavaresi fin dai secoli piu' remoti stivavano la birra dentro grotte scavate nelle colline dove sorgevano le loro abbazie. Tali grotte venivano poi riempite di ghiaccio. Questo perche' nei mesi piu' caldi (da aprile a settembre) in Germania il brassaggio era proibito per legge. I monaci notarono che la birra veniva cosi' salvaguardata da infezioni batteriche che potessero compromettere il gusto e l'aroma. Inoltre, sempre a causa della bassa temperatura, la fermentazione avveniva lentamente e la schiuma si depositiva sul fondo delle botti. Fu solo pero' nel XIX secolo che il lievito che si raccoglieva in basso pote' essere isolato e la tipologia Munchner inizio' quindi ad essere prodotta.
Le Munchner classiche sono scure, uno scuro che va dall'ambrato carico al tonaca di frate. Come detto sono state le prime birre a bassa fermentazione, hanno un tenore alcolico medio (5-6 ABV) e si fanno apprezzare per un aroma ed un gusto di malto tostato (eventualmente con note di cioccolato e frutta secca). La luppolatura e' bassa, prevalgono il dolce ed il maltato, sono comunque facilmente bevibili (ad una temperatura di servizio preferibilmente di 8-10°). La Munchner cosi' descritta e' piu' propriamente una Munchner Dunkel, esiste pero' anche una varieta' chiara, detta Munchner Hell, di colore dorato. Come esempio possiamo citare la HB Original Munchen, la Spaten Munchner Hell e la  Hacker-Pschorr Munchner Gold EdelHell (5.5 ABV).

Marzen
Stile originario di Vienna, sono ambrate a differenza delle scure Munchner. Prodotte a marzo (Marzen in tedesco), erano le ultime birre da bere prima di quelle autunnali (si incominciarono a diffondere a partire da meta' Ottocento). Di colore dall'oro carico all'ambrato (con riflessi rossicci), hanno un gusto di malto leggermente tostato ("biscottato"), ed un grado alcolico di 5 ABV. Le Marzen piu' conosciute sono pero' quelle tedesche, vengono fatte maturare al fresco in cantina (o grotte) nei mesi estivi per essere consumate in autunno (sono quindi stagionali). Dette anche Oktoberfestbier perche' consumate durante la famosa festa. Piu' alcoliche rispetto alle viennesi (5.5-6 ABV), di colore oro carico, con corpo rotondo e notevole sentore di malto (temperatura di servizio 7-9°). Come esempi abbiamo le Oktoberfestbier delle sei note birrerie di Monaco, sempre presenti all'Oktoberfest (Augustiner, HB, Hacker-Pschorr, Lowenbrau, Paulaner, Spaten) piu' la Ayinger del vicino villaggio di Aying. Di recente io ho provato la Spaten Oktoberfestbier.

Pilsner
Lo stile boemo vede la nascita il 5 ottobre 1842 a Pilsen ad opera del mastro birraio Josef Groll presso la birreria Plzensky Prazdroj (che in lingua originale significa "fonte originale di Plzen", Pilsner Urquell in tedesco). Merito anche del luppolo aromatico di Zatec (Saaz in tedesco) e dell'acqua della zona, povera di minerali, Groll riusci' a brassare un prodotto di queste qualita': colore dorato, aspetto limpido, frizzante, facilmente bevibile, ben amaricato. Con schiuma compatta e persistente, questa tipologia di birra, secca e di corpo leggero, va bevuta fredda (3-5°) ed e' ideale come aperitivo. Moderato il tenore alcolico (4-5 ABV). La tipologia, detta anche Pilsener o Pils, si e' diffusa poi ovunque variando in misura piu' o meno accentuata le caratteristiche originali. Ad esempio le Pilsner tedesche hanno un colore giallo paglierino invece che dorato, inoltre sono meno amare, piu' pulite e piu' secche. Sono molto note anche le Pilsner belghe e olandesi/danesi, spesso pero' dal carattere piu' commerciale (piu' propriamente  andrebbero classificate come lager). Oltre alla Pilsner Urquell gia' citata, assai famosa e' la Budejovicky Budvar che, da quando ha vinto la causa con la Budweiser americana (Budweis e' il nome boemo di Budvar), si presenta in molti paesi anche con il nome di Budweiser Budvar. Purtroppo personalmente non ho mai provato una Pilsner boema se non una versione speciale di maggiore tenore alcolico (nella foto accanto), che si chiama Premier Select (7.6 ABV, sull'etichetta viene sottolineato che l'acqua usata proviene da pozzi artesiani profondi 300 metri, la birra matura per 200 giorni, il malto e' tipico della Moravia).

Bock
Finisco con uno stile un po' particolare, derivante dalla citta' tedesca di Einbeck, in cui nome venne gradualmente trasformato in "bock" in terra bavarese. Bock significa anche caprone, infatti l'animale appare su numerose etichette. La gradazione alcolica e' compresa fra 6.5 e 7.5 ABV. Le Bock, di colore chiaro, hanno un gusto morbido e  abboccato. Ricche e vellutate al palato, regalano sentori mielati di malto e di floreale fresco. Ovviamente prevale il malto sull'amaro del luppolo. La variante Maibock ("Mai" e' maggio in tedesco), stagionale per le feste primaverili, e' ancora piu' dolce e corposa tanto da poter essere definita una specie di "malto liquido".
La Doppelbock e' invece la variante scura, molto alcolica (piu' di 7.5 ABV), e' una birra da meditazione, forte e complessa. La prima Doppelbock fu creata in Baviera all'inizio del XVII secolo dai monaci dell'ordine di San Francesco da Paola, che la chiamarono Salvator. Ispirandosi ad essa tutte le successive Doppelbock hanno conservato nomi con desinenza 'ator' (Optimator, Celebrator, Maximator, ad esempio). L'unica Bock che finora ho avuto modo di degustare e' la Bock Chiara del birrificio Angelo Poretti, realizzata nel 2007 per celebrare i 130 anni del noto birrificio di Varese. Questa birra, che ha vinto un premio internazionale assegnato da Monde Selection, e' il giusto omaggio alla memoria di Angelo Poretti, il pioniere della birra che da giovane viaggio' in Europa per apprendere i segreti dei migliori mastri birrai reinterpretandoli poi per le sue future creazioni secondo i gusti italiani.

Hacker-Pschorr Munchner Gold EdelHell

Spaten Oktoberfestbier
Budejovicky Budvar Premier Select
Angelo Poretti Bock Chiara