I prossimi 12 e 13 giugno gli italiani saranno chiamati ad esprimersi sul referendum che propone di bloccare la privatizzazione dell'acqua. Si completera' in quei giorni un processo, partito l'anno scorso, che ha visto la partecipazione di numerosi volontari, uniti nel promuovere la battaglia per la difesa dell'acqua pubblica, e che ha portato alla raccolta di ben un milione e quattrocentomila firme. Questo numero testimonia che il tema della corretta gestione dell'acqua, il bene comune per eccellenza, e' sensibilmente percepito dalla popolazione. Una volta raccolte, le firme sono state consegnate alla Cassazione che le ha giudicate valide. Subito dopo e' intervenuta la Corte Costituzionale che, nell'esprimersi sui tre quesiti referendari proposti, ne ha dichiarati legittimi due. Su questi due dovremo pronunciarci il prossimo giugno. Putroppo il Consiglio dei Ministri non ha voluto accorpare questo e gli altri referendum (energia nucleare e legittimo impedimento) alle elezioni amministrative di maggio, cosa che avrebbe permesso allo Stato di risparmiare centinaia di milioni di euro. Tale scelta ovviamente contribuisce a rendere piu' difficile il raggiungimento del quorum, obiettivo che, sappiamo, spesso fallisce. Anzi sempre, se consideriamo gli ultimi sedici anni. Infatti l'ultimo appuntamento referendario che ha attirato piu' del 50% degli elettori e' stato quello del 1995 (del gruppo, enorme, di dodici referendum, si ricordano in particolare i tre relativi alle reti televisive private, con gli italiani che si dichiararono contrari alla cancellazione di norme ad esse favorevoli). Da allora in poi tutti i referendum, nelle varie tornate del 1997, 1999, 2000, 2003, 2005 e 2009, non sono stati altro che uno spreco di denaro pubblico. Tanto che qualcuno comincia a porsi dei dubbi sull'utilita' dello strumento referendum. In effetti soluzioni semplici ci sarebbero: andrebbe rivista, abbassandola, la soglia minima di partecipanti al voto oppure innalzato il numero minimo di firme promotrici (attualmente sono necessarie cinquecentomila). Ma il rimedio migliore dovrebbe essere un altro, cioe' aumentare il dibattito politico intorno ai temi affrontati dai referendum nei mesi che li precedono in modo da informare i cittadini e permettere loro di maturare delle opinioni. E' triste constatare che cio' non accade, la maggioranza delle televisioni e dei giornali parlano di referendum in modo troppo generale, accennano al referendum "sull'acqua" ad esempio, ma non ne spiegano i dettagli. Gli esponenti politici si comportano anche peggio, a meno che il referendum non sia stato promosso dal proprio partito, la tendenza prevalente e' quella di ignorare l'argomento, oppure in alcuni casi si esorta addirittura a disertare le urne (famosi gli inviti ad andare al mare piuttosto che votare).
Il referendum contro la privatizzazione dell'acqua non ha alcun supporto politico, essendo il risultato del lavoro di cittadini che si sono organizzati liberamente, incontrandosi nelle piazze e attraverso internet (2 Si' per l'Acqua Bene Comune). Quindi, se finora ha trovato poca visibilita', poco o nulla cambiera' da qui in avanti, chi vorra' informarsi non potra' sperare di farlo tramite i canali tradizionali. A peggiorare la situazione, di recente, si e' aggiunto il retrofront del governo sul nucleare (l'abbandono del piano energetico che era in procinto di partire). In pratica e' stato votato un decreto che abroga le norme che dovevano servire per costruire nuove centrali nucleari in Italia, rendendo cosi' nullo il referendum su tale questione (ebbene si', succede anche questo). Il venire meno di un referendum avra' evidentemente ripercussioni negative sugli altri. In realta', se fossero veri i sospetti che il governo vuole combattere il raggiungimento del quorum sul legittimo impedimento (per difendere, ancora una volta, il premier che ne e' a capo), ci sarebbe da preoccuparsi anche riguardo iniziative che possano cancellare i due referendum sull'acqua. Notizia fresca di giornata, infatti, e' la dichiarazione del ministro Romani che auspica un approfondimento legislativo sulla questione, perche', a sua detta, come il tema del nucleare, anche quello dell'acqua e' un tema caldo che spacca in due l'opinione pubblica. Come a dire, il cittadino non e' in grado di decidere perche' si lascia prendere da aspetti emotivi, decido io per lui, bell'esempio di partecipazione democratica! Credo che sia nella natura di un referendum trattare argomenti "caldi", che accendono passioni e discussioni, altrimenti eliminiamoli e non stiamo piu' a prenderci in giro.
Veniamo dunque ai contenuti dei due quesiti inerenti la gestione dell'acqua, cercando di approfondirli, seppure sinteticamente. Il primo quesito e' intitolato "Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione". Scegliendo il si' si e' favorevoli ad abrogare la parte del decreto Ronchi relativa ai servizi idrici. Il decreto Ronchi, approvato nel 2009, adempie ad una serie di obblighi comunitari, nell'ambito di diversi settori, fra cui la lotta alla contraffazione. In effetti fu molto pubblicizzato come strumento di difesa del "made in Italy" e di rilancio dell'economia italiana. Ma all'interno del pacchetto del decreto fu anche inserito, con una almeno apparente forzatura, l'obbligo, per le societa' di servizi idrici, del passaggio a capitale di maggioranza privato (i dodici commi dell'art. 23 bis). Cio' per recepire, teoricamente, i principi comunitari di "economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza". In base al decreto Ronchi quindi, lo societa' idriche che tuttora sono pubbliche (e sono la netta maggioranza) dovranno cessare la loro attivita' entro dicembre 2011 o convertirsi in societa' miste privato-pubblico, in cui la quota' di capitale privato sia almeno del 40%. Il secondo quesito e' riassunto cosi': "Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma". Votando si' si chiede l'abrogazione dell'art. 154 di un decreto del 2006 contenente norme in materia ambientale nella parte in cui si cita "adeguata remunerazione del capitale investito". Tali parole permetterebbero ai gestori di aumentare le tariffe ottenendo un profitto proporzionale al capitale investito. Entrambi gli articoli che i promotori dei referendum intendono abrogare renderebbero possibile una privatizzazione al di fuori di ogni regola, senza un controllo sui limiti massimi delle tariffe e sulla qualita' dei servizi, trasformando di fatto l'acqua da bene comune a merce.