venerdì 22 aprile 2011

Fuori i profitti dall'acqua

I prossimi 12 e 13 giugno gli italiani saranno chiamati ad esprimersi sul referendum che propone di bloccare la privatizzazione dell'acqua. Si completera' in quei giorni un processo, partito l'anno scorso, che ha visto la partecipazione di numerosi volontari, uniti nel promuovere la battaglia per la difesa dell'acqua pubblica, e che ha portato alla raccolta di ben un milione e quattrocentomila firme. Questo numero testimonia che il tema della corretta gestione dell'acqua, il bene comune per eccellenza, e' sensibilmente percepito dalla popolazione. Una volta raccolte, le firme sono state consegnate alla Cassazione che le ha giudicate valide. Subito dopo e' intervenuta la Corte Costituzionale che, nell'esprimersi sui tre quesiti referendari proposti, ne ha dichiarati legittimi due. Su questi due dovremo pronunciarci il prossimo giugno. Putroppo il Consiglio dei Ministri non ha voluto accorpare questo e gli altri referendum (energia nucleare e legittimo impedimento) alle elezioni amministrative di maggio, cosa che avrebbe permesso allo Stato di risparmiare centinaia di milioni di euro. Tale scelta ovviamente contribuisce a rendere piu' difficile il raggiungimento del quorum, obiettivo che, sappiamo, spesso fallisce. Anzi sempre, se consideriamo gli ultimi sedici anni. Infatti l'ultimo appuntamento referendario che ha attirato piu' del 50% degli elettori e' stato quello del 1995 (del gruppo, enorme, di dodici referendum, si ricordano in particolare i tre relativi alle reti televisive private, con gli italiani che si dichiararono contrari alla cancellazione di norme ad esse favorevoli). Da allora in poi tutti i referendum, nelle varie tornate del 1997, 1999, 2000, 2003, 2005 e 2009, non sono stati altro che uno spreco di denaro pubblico. Tanto che qualcuno comincia a porsi dei dubbi sull'utilita' dello strumento referendum. In effetti soluzioni semplici ci sarebbero: andrebbe rivista, abbassandola, la soglia minima di partecipanti al voto oppure innalzato il numero minimo di firme promotrici (attualmente sono necessarie cinquecentomila). Ma il rimedio migliore dovrebbe essere un altro, cioe' aumentare il dibattito politico intorno ai temi affrontati dai referendum nei mesi che li precedono in modo da informare i cittadini e permettere loro di maturare delle opinioni. E' triste constatare che cio' non accade, la maggioranza delle televisioni e dei giornali parlano di referendum in modo troppo generale, accennano al referendum "sull'acqua" ad esempio, ma non ne spiegano i dettagli. Gli esponenti politici si comportano anche peggio, a meno che il referendum non sia stato promosso dal proprio partito, la tendenza prevalente e' quella di ignorare l'argomento, oppure in alcuni casi si esorta addirittura a disertare le urne (famosi gli inviti ad andare al mare piuttosto che votare). 
Il referendum contro la privatizzazione dell'acqua non ha alcun supporto politico, essendo il risultato del lavoro di cittadini che si sono organizzati liberamente, incontrandosi nelle piazze e attraverso internet (2 Si' per l'Acqua Bene Comune). Quindi, se finora ha trovato poca visibilita', poco o nulla cambiera' da qui in avanti, chi vorra' informarsi non potra' sperare di farlo tramite i canali tradizionali. A peggiorare la situazione, di recente, si e' aggiunto il retrofront del governo sul nucleare (l'abbandono del piano energetico che era in procinto di partire). In pratica e' stato votato un decreto che abroga le norme che dovevano servire per costruire nuove centrali nucleari in Italia, rendendo cosi' nullo il referendum su tale questione (ebbene si', succede anche questo). Il venire meno di un referendum avra' evidentemente ripercussioni negative sugli altri. In realta', se fossero veri i sospetti che il governo vuole combattere il raggiungimento del quorum sul legittimo impedimento (per difendere, ancora una volta, il premier che ne e' a capo), ci sarebbe da preoccuparsi anche riguardo iniziative che possano cancellare i due referendum sull'acqua. Notizia fresca di giornata, infatti, e' la dichiarazione del ministro Romani che auspica un approfondimento legislativo sulla questione, perche', a sua detta, come il tema del nucleare, anche quello dell'acqua e' un tema caldo che spacca in due l'opinione pubblica. Come a dire, il cittadino non e' in grado di decidere perche' si lascia prendere da aspetti emotivi, decido io per lui, bell'esempio di partecipazione democratica! Credo che sia nella natura di un referendum trattare argomenti "caldi", che accendono passioni e discussioni, altrimenti eliminiamoli e non stiamo piu' a prenderci in giro. 
Veniamo dunque ai contenuti dei due quesiti inerenti la gestione dell'acqua, cercando di approfondirli, seppure sinteticamente. Il primo quesito e' intitolato "Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione". Scegliendo il si' si e' favorevoli ad abrogare la parte del decreto Ronchi relativa ai servizi idrici. Il decreto Ronchi, approvato nel 2009, adempie ad una serie di obblighi comunitari, nell'ambito di diversi settori, fra cui la lotta alla contraffazione. In effetti fu molto pubblicizzato come strumento di difesa del "made in Italy" e di rilancio dell'economia italiana. Ma all'interno del pacchetto del decreto fu anche inserito, con una almeno apparente forzatura, l'obbligo, per le societa' di servizi idrici, del passaggio a capitale di maggioranza privato (i dodici commi dell'art. 23 bis). Cio' per recepire, teoricamente, i principi comunitari di "economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza". In base al decreto Ronchi quindi, lo societa' idriche che tuttora sono pubbliche (e sono la netta maggioranza) dovranno cessare la loro attivita' entro dicembre 2011 o convertirsi in societa' miste privato-pubblico, in cui la quota' di capitale privato sia almeno del 40%. Il secondo quesito e' riassunto cosi': "Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma". Votando si' si chiede l'abrogazione dell'art. 154 di un decreto del 2006 contenente norme in materia ambientale nella parte in cui si cita "adeguata remunerazione del capitale investito". Tali parole permetterebbero ai gestori di aumentare le tariffe ottenendo un profitto proporzionale al capitale investito. Entrambi gli articoli che i promotori dei referendum intendono abrogare renderebbero possibile una privatizzazione al di fuori di ogni regola, senza un controllo sui limiti massimi delle tariffe e sulla qualita' dei servizi, trasformando di fatto l'acqua da bene comune a merce.

martedì 12 aprile 2011

I nostri soldi

E' una cifra impressionante, 61 miliardi di euro. E' quanto speso dagli italiani nel 2010 per i giochi d'azzardo. Dato che la popolazione totale e' di poco superiore ai 60 milioni, e' facile calcolare la spesa media a persona, vengono mille euro tondi tondi. E' difficile pensare a spese piu' consistenti, una persona dal reddito medio in un anno arrivera' a spendere cifre superiori a mille euro solamente per alimenti e eventuali mutui o rate. Per abbigliamento o vacanze, tanto per fare degli esempi, probabilmente si spende qualcosa in meno. Se cio' non basta a convincersi dell'enormita' della cifra, allora si potrebbe anche riflettere sul fatto che 61 miliardi sono circa il 3% del PIL nazionale e ben il 15% delle entrate dello Stato. In effetti si dice spesso che il gioco e' una tassa aggiuntiva che lo Stato applica ai cittadini, purtroppo questo messaggio sembra non essere abbastanza efficace a quanto pare. Si dovrebbe dire piu' chiaramente che il gioco, nelle sue innumerevoli varianti ("Lotto", "Superenalotto", "Gratta e Vinci", e tanti altri) e' una truffa legalizzata: il banco, cioe' lo Stato, vince sempre sul giocatore. Questo perche' la vincita del giocatore non viene pagata in modo inversamente proporzionale alla probabilita' di vittoria ma in misura molto inferiore. Complessivamente quindi, lo Stato non ci rimette mai, mentre sappiamo che un gioco, per essere definito equo, dovrebbe porre tutte le parti nella medesima condizione. Anche volendo ignorare questo aspetto di natura statistica, chi gioca nella speranza di un colpo di fortuna, farebbe bene a tenere a mente che le probabilita' di vincita al "Superanalotto", per esempio, sono una su 622 milioni (l'aiuto delle stelle dovrebbe essere bello grosso, e' piu' probabile morire in un incidente stradale).
Il fenomeno gioco non puo' essere ignorato perche' e' in fase sempre piu' crescente, in prospettiva futura i suoi effetti saranno sempre piu' preoccupanti. Gia' tuttora riguarda ampie fasce della popolazione, specialmente quelle piu' deboli, con bassi redditi (o pensioni). E' evidente che chi gioca segue il sogno di una vita migliore. Dato l'ammontare delle cifre di cui stiamo discutendo e' inevitabile che il gioco, quando crea dipendenza, va ad incidere pesantemente sui bilanci familiari gia' traballanti. Ai problemi di carattere psicologico (chi si fa prendere dal vizio del gioco altera' la propria personalita', peggiora il suo stile di vita) si aggiungono quindi problemi economici, che si ripercuotono sia sull'individuo che sui familiari (notizie di cronaca riportano anche indebitamenti nei casi piu' gravi). Ma per quali motivi il trend delle giocate e' cosi' positivo negli ultimi anni? Forse per la crisi economica che ha provocato licenziamenti, unita alla precarieta' del lavoro e contemporanemente ad un incremento del costo della vita, la gente ha bisogno di maggiori illusioni? Se cosi' fosse lo Stato ci ha messo del suo, aumentando sia l'offerta di giochi che la loro pubblicizzazione. Fra programmi televisivi specifici, rubriche e servizi di telegiornali, il telespettatore e' informato in diretta sui numeri dell'ultima estrazione del "Lotto" e percepisce la vincita come un evento alla portata di mano. Tutto, da un punto di vista mediatico, tende a predisporre nell'utente un atteggiamento favorevole al gioco. Si pensi ad esempio l'effetto cassa di risonanza quando c'e' un montepremi elevato, piu' se ne parla in tv con toni entusiastici piu' crescono le giocate, secondo un circolo vizioso in cui ci guadagnano tutti tranne il cittadino che si auto-tassa. Un ultimo elemento che va considerato e' la facilita' di accesso al gioco. In un qualunque bar, anche fra i piu' piccoli, si trovano macchinette per slot-machine o video-poker. Per non parlare poi dei "Gratta e Vinci", ultimamente li vendono anche alle Poste, e gli impiegati credo siano stati sollecitati a venderli, data l'insistenza con cui provano a convincere il cliente di turno. Alcuni malcelando un palese imbarazzo (fra libri, dvd, gadget vari e "Gratta e Vinci " l'impiegato deve avere la sensazione di lavorare in una carto-libreria qualunque).
Questa ampia premessa sul gioco d'azzardo e' finalizzata al mio intento di proporre un modo piu' ragionevole per impiegare i nostri soldi: elargendoli alle "Onlus" (Organizzazioni non lucrative di utilita' sociale) che li useranno per le loro attivita' benefiche. In particolare mi interessa evidenziare il lavoro che svolge il "Comitato per la Vita Daniele Chianelli". Sorto a Perugia nel 1990 grazie alla volonta' di genitori che avevano vissuto l'esperienza di un figlio malato, il Comitato si adopera per il sostegno di bambini ed adulti ricoverati nei reparti di Oncoematologia Pediatrica ed Ematologia dell'ospedale Silvestrini di Perugia. Ad oggi conta ventimila soci, ed ha sedi dislocate non solo in Umbria ma anche in varie regioni d'Italia. Si basa inoltre su un vasto gruppo di volontari che dedicano il loro tempo alle varie attivita' previste sia nei reparti sopra citati che nel "day hospital " dell'ospedale perugino. Uno dei risultati piu' importanti raggiunti dal Comitato e' stata le realizzazione del "Residence Daniele Chianelli". Si tratta di una struttura ricettiva, una delle poche nel suo genere, che intende ospitare malati e familiari nei periodi che intercorrono tra un ricovero e l'altro. I cicli di cura per le malattie leucemiche sono molto lunghi e si compongono di differenti fasi, una casa in grado di accogliere malati e familiari, spesso provenienti da lontano, con tutto il sostegno possibile, materiale e morale, dato dai volontari, e' sicuramente un notevole aiuto. La struttura dovrebbe arricchirsi in futuro di un'area verde, denominata "Parco del Sorriso", pensata per i bambini ospiti del residence (sara' quindi dotata di giochi e di attrezzature per attivita' all'aria aperta). Il supporto (e completamento) dell'attivita' medica ordinaria si esplica anche in altre finalita' del Comitato: le donazioni e l'incentivo alla ricerca scientifica. Con
i fondi raccolti nel corso degli anni sono state donate decine di strumentazioni all'ospedale. La ricerca viene invece promossa tramite finanziamento di borse di studio per studenti e ricercatori nell'ambito delle leucemie e dei linfomi (un aspetto interessante al riguardo e' l'investigazione sulle cellule staminali).
Si puo' dare il proprio contributo al Comitato, oltre che con il volontariato, in vari modi, meno impegnativi ma altrettando indispensabili: con donazioni dirette (sul sito sono riportate le coordinate dei conti correnti bancario e postale); devolvendo il 5 per mille in occasione della dichiarazione dei redditi (sempre sul sito ci sono le istruzioni necessarie); acquistando le "Stelle di Natale" e le "Uova della Speranza", prima delle feste natalizie e pasquali, nei banchetti allestiti presso piazze e supermercati. Basta davvero poco per partecipare a battaglie cosi' importanti, condividere gli obiettivi del "Comitato per la Vita Daniele Chianelli", una volta averlo conosciuto, dovrebbe essere un atto spontaneo e naturale. Il gabbiano, su sfondo azzurro, e' il simbolo del Comitato, quasi a rappresentare la volonta' di volare oltre gli ostacoli della malattia e di apprezzare la gioia di vivere nello stesso tempo. Compito difficile ma non impossibile. Tante persone, con uno sforzo comune, possono far volare in alto il gabbiano!

giovedì 7 aprile 2011

Febbre a 90'

"Mi innamorai del calcio come mi sarei innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con se'".
Cosi' inizia Febbre a 90' di Nick Hornby, un libro che, a differenza di tanti altri, non descrive una storia che ruota intorno al calcio, ma va nel profondo di quell'atteggiamento irrazionale e fanatico che chiamiamo tifo. Il racconto autobiografico si sviluppa dall'infanzia all'eta' adulta passando dal ricordo di una partita alla successiva, in rigoroso ordine cronologico. Non sono i fatti della vita a procedere in modo autonomo, il cardine della narrazione e' l'Arsenal, la nota squadra di Londra, tutto il resto si sviluppa intorno alle vittorie ed alle sconfitte, i campionati e le finali di coppa, gli stadi e le trasferte. Ovviamente tale scelta non e' casuale, infatti rende bene l'idea di come funziona la mente di un tifoso: un vero tifoso quando pensa ad uno specifico anno passato pensa ad un avvenimento sportivo riguardante la sua squadra, accaduto nell'anno, di memorabile valore (la conquista di un trofeo ma anche una singola partita giocata in modo spettacolare o vinta all'ultimo minuto). Solo in un secondo momento l'evento calcistico permette di associare vicende della vita personale anche importanti (un fidanzamento, un successo sul lavoro, un viaggio appagante).
La frase di apertura sopra riportata racchiude alcuni elementi che contraddistinguono il modo d'essere di un tifoso, soprattutto e' significativo che amore e dolore compaiano insieme. Come l'innamorato il tifoso puo' passare facilmente tra stati d'animo opposti, e' inebriato dalla bellezza della donna amata e con lei gioisce, ma puo' anche disperarsi e soffrire quando l'amore non e' ricambiato oppure svanisce. A meno di non essere fortunati (o opportunisti) tifando una squadra normalmente abituata a vincere, chi si innamora di una squadra non di vertice, nel momento in cui scocca la scintilla, condanna se stesso ad un'esistenza di cocenti delusioni e frustrazioni, intervallata sporadicamente da euforie tanto intense quanto brevi. Per quanto riguarda l'Arsenal in particolare, occorre specificare che, pur essendo la terza squadra piu' titolata di Inghilterra (13 campionati vinti), il periodo a cui il libro fa riferimento (1968-1992) fu piuttosto povero di risultati per i bianco-rossi, quantomeno nella parte centrale. Il protagonista rimane affascinato dall'Arsenal nella prima partita vista ad Highbury insieme a suo padre, un Arsenal-Stoke City giocata il 14-9-68. La prima stagione da tifoso si conclude gia' con un'amara sconfitta in finale di coppa di lega. Tuttavia non dovra' aspettare molto che, arrivera' nel '71 la storica doppietta campionato e coppa di Inghilterra. Si trattera' pero' di un anno eccezionale, come poi dimostreranno le stagioni a venire. Infatti l'Arsenal dovra' aspettare l'89 per vincere nuovamente il campionato. Il libro quindi racconta la passione autentica del tifoso che sostiene a prescindere la squadra, anche nei peggiori momenti di difficolta', quasi fosse una fede. Viene evidenziato inoltre un aspetto psicologico molto realistico: mentre l'esultanza a seguito di un trionfo e' vissuto in modo collettivo, la mortificazione per una sconfitta e' elaborata privatamente, tenuta nascosta nel proprio animo fino a quando non scompare. Come un ago sottile infilato nella pelle che non puo' essere toccato altrimenti farebbe ancora piu' dolore, il tifoso triste non va consolato in nessuna maniera. Qualsiasi parola di conforto sarebbe inutile, le delusione deve sbollire naturalmente, come un eroe romantico il tifoso affronta in solitudine il proprio tormento, nessun altro potrebbe capirlo.
Ritornando alla frase iniziale notiamo che l'autore definisce il suo innamoramento come improvviso. Sebbene la scelta di una squadra sia un evento importante in quanto irripetibile (si puo' cambiare una moglie, una casa, un'idea ma la squadra del cuore mai), in genere la consapevolezza di voler appartenere ad una squadra matura molto rapidamente, ed e' legata a qualche evento calcistico di notevole risonanza. Ricordo ad esempio di aver iniziato ad interessarmi al calcio vedendo le partite dei mondiali in Messico del '86 sulla tv a colori di amici dei miei. Dopo qualche mese, durante la lettura della classifica di serie A in un telegiornale della sera, mi apparse chiaro, quasi come fosse un'ispirazione, la squadra alla quale mi sarei dovuto legare per il resto della vita (non solo si realizzo' improvvisamente quindi, ma anche inesplicabilmente). L'impossibilita' di spiegare o il voler fuggire le spiegazioni (acriticamente, riferendosi ancora alla frase di apertura) sono fenomeni che poi accompagnano lo stile di un tifoso senza alcuna discontinuita'. Citando cio' che e' descritto nel libro, come spiegare le trasferte in treno nelle citta' piu' lontane magari per una partita di ritorno con giochi fatti gia' all'andata, dovendo prendere pure un giorno di ferie? Che spiegazioni dare ai familiari quando la propria vita viene programmata in funzione del calendario calcistico? Addirittura pretendendo di farsi accompagnare nel caso di qualche impedimento fisico (il protagonista si reca ad Highbury nonostante la gamba ingessata)? Tutto cio' e' ancora piu' assurdo se si pensa, e giustamente nel libro viene fatto notare, che la stessa dedizione ed attaccamento alla squadra spesso non si riscontrano nei giocatori (l'autore ad un certo punto si chiede come sia possibile, appena una settimana dopo una finale persa, che essi siano tutti allegri e sorridenti come nulla fosse successo). Difficile dare giustificazioni razionali ai disagi patiti nel recarsi negli stadi e dentro gli stadi nell'assistere alle partite. A questo proposito e' necessario sottolineare che il calcio degli anni '70 e '80 era il calcio di un'altra epoca. A livello sportivo era un calcio che possiamo definire epico, fatto di corsa e di sudore, di grandi talenti ma soprattutto di grande agonismo e impegno fisico (cosi' almeno una buona parte del calcio inglese, poco aperto alle influenze estere e alle novita' del calcio "totale"). In particolare l'Arsenal era una squadra che aveva la fama di essere brutta, di giocare male, di vincere spesso per 1-0, con il minimo sforzo (da qui anche la fama di essere fortunata). Da un punto di vista organizzativo era invece il calcio che precedeva il rapporto Taylor, quello con gli stadi senza posti a sedere, le tribune e le vie d'accesso affollate piu' del dovuto, gruppi di tifosi che caricavano, scontri piu' o meno violenti sia all'interno che all'esterno della strutture sportive. Infatti gli amanti del calcio di quell'era non erano ben visti dall'opinione pubblica, la societa' inglese, nel suo complesso, li considerava rozzi e volgari. Seguire il calcio, specialmente in trasferta, poteva essere un'esperienza pericolosa. Nel libro vengono menzionati sia i fatti di Wembley che quelli, assai piu' gravi come numero di vittime, di Hillsborough, specificando che solamente per pura casualita' simili tragedie non sono capitate piu' spesso. Come il tifoso sappia dimenticare rapidamente episodi drammatici accaduti negli stadi per riportare subito in primo piano rivalita', vittorie e sconfitte e' un altro dei vari misteri insondabili del calcio.
Il quadro che l'autore dipinge sul tifo racchiude altre sfumature curiose oltre a quelle elencate finora. Ad esempio l'effetto "ritardante" che il calcio produce sugli individui. Il calcio assume, nella mente del tifoso, la forma di un mondo fantastico, illusorio, che aliena e isola dalla vita reale. L'autore confessa di lasciarsi andare, in qualunque momento della giornata, a pensieri su azioni e gol di partite passate, che vengono ricostruiti nella sua immaginazione. La dimensione calcistica viaggia parallela alla realta' quotidiana, assorbendone desideri ed aspirazioni. Il limbo calcio e' un "micro-universo" gratificante, che distoglie dalle preoccupazioni concrete. L'autore del libro, una volta terminata l'universita', ha difficolta' ad indirizzare la sua vita, passando da un incarico di insegnamento all'altro, comprende che dovrebbe realizzarsi diversamente, ma non e' in grado di operare delle scelte. Il calcio serve a "ritardare" la sua crescita, a sospenderla in attesa di uno sviluppo ancora non definito.
Nonostante cio' calcio e vita, secondo l'autore, procedono con parallelismo perfetto, nessuno influenza l'altro ma, magicamente, raggiungono in sincronia periodi negativi e positivi. I lunghi anni di insuccessi dell'Arsenal coincidono in gran parte con la fase buia dell'autore (anche dal lato sentimentale), la vittoria in campionato del '89, e poi quella del '91, sanciscono invece la sua affermazione personale (finalmente diventa uno scrittore). Infine, il libro vuol essere un omaggio al calcio come gioco, uno sport imprevedibile in cui puo' vincere, a volte, la squadra piu' debole, ed il colpo di genio, l'estro, possono essere piu' decisivi della tattica e della disciplina. Ed e' anche un omaggio ai suoi protagonisti, dai giocatori simbolo, leader per carattere o doti tecniche, a quelli bravi per arrivare a giocare nella massima divisione ma non abbastanza per costruirsi una carriera di successo (come nella vita vera la selezione e' spietata, per quanto si possa confidare nei proprio mezzi). Un omaggio al senso di appartenenza del tifoso ed alla meravigliosa circostanza per cui, qualunque cosa accada alla tua squadra, attraverso di essa un amico o conoscente pensera' anche a te. Pur non capendo la tua fede o forse respingendola, ti identifichera' con la squadra per cui tifi, miracoli che solo il calcio sa creare.
Qui sotto la foto del gol all'ultimo minuto di Michael Thomas in Liverpool-Arsenal 0-2, ultima partita della stagione '89. L'Arsenal doveva vincere per almeno due gol di scarto per superare il capolista Liverpool per differenza reti, e' cosi' avvenne, all'ultimo respiro. La vittoria leggendaria e' anche l'evento culminante dell'intero libro, quasi come fosse un'invenzione letteraria piuttosto che un fatto realmente accaduto.


venerdì 1 aprile 2011

La bassa fermentazione

Allo stato attuale nel mondo piu' del 90% della birra prodotta e' a bassa fermentazione. Tuttavia il numero di stili di appartenenti alla bassa fermentazione e' piuttosto limitato data la relativa giovinezza di tale birra (meno di due secoli di vita). Molto spesso poi le varie produzioni si confondono (essendo contraddistinte da una bassa complessita' aromatica) per cui la maggioranza delle birre comunemente bevute sono definibili genericamente come "lager", che in tedesco significa magazzino, luogo dove sono lasciate a maturare (passaggio questo che non avviene per le ale, le birre ad alta fermentazione).
Gli stili tipici della birra bassa fermentazione sono tre, monacense, viennese e boemo, qui di seguito descritti.

Munchner
La bassa fermentazione in realta' fu scoperta ben prima dell'Ottocento. I monaci bavaresi fin dai secoli piu' remoti stivavano la birra dentro grotte scavate nelle colline dove sorgevano le loro abbazie. Tali grotte venivano poi riempite di ghiaccio. Questo perche' nei mesi piu' caldi (da aprile a settembre) in Germania il brassaggio era proibito per legge. I monaci notarono che la birra veniva cosi' salvaguardata da infezioni batteriche che potessero compromettere il gusto e l'aroma. Inoltre, sempre a causa della bassa temperatura, la fermentazione avveniva lentamente e la schiuma si depositiva sul fondo delle botti. Fu solo pero' nel XIX secolo che il lievito che si raccoglieva in basso pote' essere isolato e la tipologia Munchner inizio' quindi ad essere prodotta.
Le Munchner classiche sono scure, uno scuro che va dall'ambrato carico al tonaca di frate. Come detto sono state le prime birre a bassa fermentazione, hanno un tenore alcolico medio (5-6 ABV) e si fanno apprezzare per un aroma ed un gusto di malto tostato (eventualmente con note di cioccolato e frutta secca). La luppolatura e' bassa, prevalgono il dolce ed il maltato, sono comunque facilmente bevibili (ad una temperatura di servizio preferibilmente di 8-10°). La Munchner cosi' descritta e' piu' propriamente una Munchner Dunkel, esiste pero' anche una varieta' chiara, detta Munchner Hell, di colore dorato. Come esempio possiamo citare la HB Original Munchen, la Spaten Munchner Hell e la  Hacker-Pschorr Munchner Gold EdelHell (5.5 ABV).

Marzen
Stile originario di Vienna, sono ambrate a differenza delle scure Munchner. Prodotte a marzo (Marzen in tedesco), erano le ultime birre da bere prima di quelle autunnali (si incominciarono a diffondere a partire da meta' Ottocento). Di colore dall'oro carico all'ambrato (con riflessi rossicci), hanno un gusto di malto leggermente tostato ("biscottato"), ed un grado alcolico di 5 ABV. Le Marzen piu' conosciute sono pero' quelle tedesche, vengono fatte maturare al fresco in cantina (o grotte) nei mesi estivi per essere consumate in autunno (sono quindi stagionali). Dette anche Oktoberfestbier perche' consumate durante la famosa festa. Piu' alcoliche rispetto alle viennesi (5.5-6 ABV), di colore oro carico, con corpo rotondo e notevole sentore di malto (temperatura di servizio 7-9°). Come esempi abbiamo le Oktoberfestbier delle sei note birrerie di Monaco, sempre presenti all'Oktoberfest (Augustiner, HB, Hacker-Pschorr, Lowenbrau, Paulaner, Spaten) piu' la Ayinger del vicino villaggio di Aying. Di recente io ho provato la Spaten Oktoberfestbier.

Pilsner
Lo stile boemo vede la nascita il 5 ottobre 1842 a Pilsen ad opera del mastro birraio Josef Groll presso la birreria Plzensky Prazdroj (che in lingua originale significa "fonte originale di Plzen", Pilsner Urquell in tedesco). Merito anche del luppolo aromatico di Zatec (Saaz in tedesco) e dell'acqua della zona, povera di minerali, Groll riusci' a brassare un prodotto di queste qualita': colore dorato, aspetto limpido, frizzante, facilmente bevibile, ben amaricato. Con schiuma compatta e persistente, questa tipologia di birra, secca e di corpo leggero, va bevuta fredda (3-5°) ed e' ideale come aperitivo. Moderato il tenore alcolico (4-5 ABV). La tipologia, detta anche Pilsener o Pils, si e' diffusa poi ovunque variando in misura piu' o meno accentuata le caratteristiche originali. Ad esempio le Pilsner tedesche hanno un colore giallo paglierino invece che dorato, inoltre sono meno amare, piu' pulite e piu' secche. Sono molto note anche le Pilsner belghe e olandesi/danesi, spesso pero' dal carattere piu' commerciale (piu' propriamente  andrebbero classificate come lager). Oltre alla Pilsner Urquell gia' citata, assai famosa e' la Budejovicky Budvar che, da quando ha vinto la causa con la Budweiser americana (Budweis e' il nome boemo di Budvar), si presenta in molti paesi anche con il nome di Budweiser Budvar. Purtroppo personalmente non ho mai provato una Pilsner boema se non una versione speciale di maggiore tenore alcolico (nella foto accanto), che si chiama Premier Select (7.6 ABV, sull'etichetta viene sottolineato che l'acqua usata proviene da pozzi artesiani profondi 300 metri, la birra matura per 200 giorni, il malto e' tipico della Moravia).

Bock
Finisco con uno stile un po' particolare, derivante dalla citta' tedesca di Einbeck, in cui nome venne gradualmente trasformato in "bock" in terra bavarese. Bock significa anche caprone, infatti l'animale appare su numerose etichette. La gradazione alcolica e' compresa fra 6.5 e 7.5 ABV. Le Bock, di colore chiaro, hanno un gusto morbido e  abboccato. Ricche e vellutate al palato, regalano sentori mielati di malto e di floreale fresco. Ovviamente prevale il malto sull'amaro del luppolo. La variante Maibock ("Mai" e' maggio in tedesco), stagionale per le feste primaverili, e' ancora piu' dolce e corposa tanto da poter essere definita una specie di "malto liquido".
La Doppelbock e' invece la variante scura, molto alcolica (piu' di 7.5 ABV), e' una birra da meditazione, forte e complessa. La prima Doppelbock fu creata in Baviera all'inizio del XVII secolo dai monaci dell'ordine di San Francesco da Paola, che la chiamarono Salvator. Ispirandosi ad essa tutte le successive Doppelbock hanno conservato nomi con desinenza 'ator' (Optimator, Celebrator, Maximator, ad esempio). L'unica Bock che finora ho avuto modo di degustare e' la Bock Chiara del birrificio Angelo Poretti, realizzata nel 2007 per celebrare i 130 anni del noto birrificio di Varese. Questa birra, che ha vinto un premio internazionale assegnato da Monde Selection, e' il giusto omaggio alla memoria di Angelo Poretti, il pioniere della birra che da giovane viaggio' in Europa per apprendere i segreti dei migliori mastri birrai reinterpretandoli poi per le sue future creazioni secondo i gusti italiani.

Hacker-Pschorr Munchner Gold EdelHell

Spaten Oktoberfestbier
Budejovicky Budvar Premier Select
Angelo Poretti Bock Chiara