"Di una cosa sono convinto: un libro dev'essere un'ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi." (F. Kafka)
La frase del grande scrittore si puo' applicare ovviamente, oltre che ai libri, a qualunque creazione artistica che produce scoinvolgimento nell'animo di chi la fruisce portandolo, nello stesso tempo, ad aprire gli occhi su aspetti fino a quel momento ignorati o trascurati. L'ascolto di "Storia di un impiegato", capolavoro di Fabrizio De Andre' del '73, e' un'esperienza che ti segna e non ti lascia uguale a prima, e' un colpo forte d'ascia, crudele e lucido come non mai. Le canzoni dell'album sono episodi di una sequenza cronologica che racconta la vicenda, interiore ed esteriore, di un impiegato, scelto come simbolo di quella categoria di persone che vivono in modo pacifico e borghese, accettando i principi della societa' benpensante per interesse, conformismo o vigliaccheria. L'impiegato, ogni mattina, si reca al lavoro per contare "i denti ai francobolli", senza nessuna aspirazione ideale trascina il suo tempo aridamente, il benessere economico e' il traguardo da rinnovare giorno dopo giorno, lo assorbe completamente placando le sue paure, chiedendogli il minimo indispensabile materiale.
Accade pero' che un giorno gli capiti di ascoltare la Canzone del Maggio, brano iniziale dell'album (la breve introduzione che lo precede anticipa le sonorita' e le atmosfere della storia che si sta per sviluppare), traduzione, liberamente adattata, di una canzone francese nata durante le rivolte studentesche del '68. La canzone, la piu' celebre dell'album, con il suo "anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti", esalta il coraggio e la volonta' di cambiamento dei giovani protagonisti dei movimenti di protesta degli anni precedenti, e per contrasto accusa gli indifferenti, fautori dell'ordine e della disciplina, che stanno alle finestre perche' tanto tutto tornera' come prima. Grazie ad essa, scoppia la prima bomba, La bomba in testa nel protagonista, la canzone successiva in cui l'impiegato prende coscienza della sua condizione e inizia a riflettere su come riscattarsi, pur sapendo che oramai e' troppo tardi per unirsi alle battaglie degli studenti. Sogna quindi la seconda bomba, questa volta da gettare Al ballo mascherato, per colpire e smascherare i miti della societa' moderna: la religione, il potere, la famiglia. La strage non risparmia nessuno, in un crescendo di ironia beffarda e di sensazioni oniriche, vengono colpiti Cristo, l'ammiraglio Nelson, la Statua della Liberta', Dante che spia Paolo e Francesca (e che condanna per l'eternita' il loro amore cosi' "normale"). Anche il padre e la madre cadono vittime, il primo e' colpevole di avere indossato la maschera dell'autorita' che le convenzioni sociali gli impongono in quanto padre, la seconda invece si e' sempre celata dietro la maschera della pieta', rinunciando a se stessa, ad una libera determinazione, scegliendo la vanita' del suo martirio come unico suo principio di vita. Qui forse e' opportuno citare che De Andre' vede i vincoli familiari alla stessa stregua dei vincoli economici, entrambi sono costruzioni artificiose finalizzate al puro mantenimento dell'ordine precostituito, usate per ottenere ascesa sociale, infatti "banca e famiglia danno rendite sicure" come verra' poi cantato piu' avanti. Nella quarta canzone, Sogno numero due, la parola e' piu' recitata che cantata, ed esce dalla bocca del giudice che deve esprimersi sul comportamento dell'impiegato. Sorprendentemente il giudice e' grato all'impiegato che, ponendosi sopra gli altri e sopra la legge, si e' schierato dalla parte del potere cosi' rinnovandolo. L'impiegato ha quindi facolta' di scelta, "Tu sei il potere. Vuoi essere giudicato? Vuoi essere assolto o condannato?". Il sistema lo seguiva dall'inizio, sorvegliando tutte le sue azioni, fino a scoprirlo "nel ruolo più eccitante della legge, quello che non protegge, la parte del boia". Usando violenza e sopraffazione ha scavalcato altri poteri innalzando il proprio, per il sistema non conta chi e' al comando, e' importante invece che siano usati i meccanismi soliti, in modo che ad un potere ne succeda un altro in una rincorsa senza fine. Il giudice infine concede all'impiegato la possibilita' di continuare a sognare, uno di quei sogni che non svegliano, l'impiegato accetta ma presto si rende conto che si tratta di un incubo, infatti nella Canzone del padre vede come procederebbe la sua vita se occupasse lo stesso posto (posizione sociale) che il padre, ucciso nel sogno precedente, ha tenuto nella sua. Molto bella la metafora della navi, "le più piccole dirigile al fiume, le più grandi sanno già dove andare", ad indicare la regola di vita per cui i soggetti socialmente piu' in basso vanno sfruttati, quelli di rango elevato lasciati stare. La vita vissuta nel posto del padre e' una vita misera e insignificante, condivisa con una moglie ed un figlio che appaiono pero' lontani, fragili nei loro sentimenti. Il protagonista, preso dall'angoscia, ha uno scatto di rabbia e si sveglia minacciando il giudice di rivederlo nella realta'. Quasi per disperazione, frustrato dall'impossibilita' di dare sollievo alla sua esistenza, diventa (ora effettivamente) Il bombarolo. Agendo per proprio contro, anzi disprezzando "i profeti molto acrobati delle rivoluzioni", l'unico suo obiettivo e' ora quello seminare il terrore. La follia cieca lo porta a voler far esplodere un bomba nel Parlamento, ma il piano grossolanamente fallisce (esplode un'edicola vicina). Nella canzone successiva, Verranno a chiederti del nostro amore, l'impiegato e' gia' in carcere. La storia sta per concludersi ma, prima che cio' accada, c'e' tempo per una dichiarazione di amore (e nello stesso tempo di dura accusa) rivolta alla compagna fuori dal carcere. Il protagonista scrive a lei una lettera, anticipandole che i giornali la metteranno in prima pagina contrapponendola a lui. Lei non si fara' da parte, si prestera' al gioco, e continuera' a condurre una vita qualunque, donandosi ad altri diversi da lui ("tuoi occhi come vuoti a rendere per chi ti ha dato lavoro, i tuoi occhi assunti da tre anni, i tuoi occhi per loro"). L'amarezza e' in parte mitigata dalla tenerezza, tanto e' vero che in lui resta una debole speranza che lei cambiera' ("continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai"). L'ultima canzone, Nella mia ora di liberta', la vicenda dell'impiegato finalmente trova un senso, lui si identifica con gli altri detenuti e, collettivamente agendo, nell'ora di liberta' tutti insieme imprigionano i secondini, in nome della stessa causa. Capendo "che non ci sono poteri buoni", sfida ora la folla accorsa alle porte del carcere, ripetendo il ritornello della canzone iniziale, "per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti" (la storia si chiude a cerchio quindi).
Un album da ascoltare senza esitazioni, e' facile restarne catturati. Non entro nel merito del giudizio politico in quanto non sarei in grado di analizzarlo nel dettaglio, limitandomi all'aspetto artistico lo considero una pietra miliare nell'ambito del genere cantautorale italiano, non solo relativamente ai testi (pura poesia, su questo non c'e' da discutere), ma anche nei riguardi della musica (cosa invece piu' criticata), molto espressiva e mai scontata (a volte, curiosamente, con richiami ai temi di film western e horror, almeno secondo la mia impressione). Sottolineo inoltre l'attualita' delle tematiche, mettendo l'accento su un aspetto forse non chiaro da cogliere: la ricorrenza del ruolo dei mass-media nei vari brani. Si inizia citando chi ha preso per buone "le verita' della televisione", per poi passare a "Berto, figlio della lavandaia", dato per morto nel giornale di ieri, fino ad arrivare all'amata, la cui immagine e' gettata in pasto ai giornali ed alle televisioni ("dietro ai microfoni porteranno uno specchio per farti più bella e pensarmi già vecchio").